Rino Barillari
Rino Barillari sarà pure diventato un re, ma per lui la vita non è stata poi così dolce. Dopo mezzo secolo abbondante di caccia fotografica ai vip e tanta cronaca – oltre a un centinaio di ricoveri al pronto soccorso, undici fratture e settantasei fotocamere ridotte a pezzi – the king of paparazzi, al secolo Rino Barillari, continua a macinare chilometri girando a piedi per le vie del centro di Roma con la sua attrezzatura da lavoro in spalla. «Si fa presto a dire paparazzo!», dice. «Ore di inseguimenti, appostamenti, con il sole e con la pioggia, in ogni momento della giornata e dell’anno, e con il rischio di prendere botte (…). È un mestiere duro il mio, ingiustamente bistrattato». Negli anni della dolce vita romana, la riserva di caccia per lui e per altri impavidi fotografi come Tazio Secchiaroli, Marcello Geppetti e Antonio Tridici è via Veneto, con i suoi locali pieni di divi e di rampolli con tanta voglia di divertirsi e di mostrarsi. Barillari è arrivato a Roma nel 1959, scappando da casa con altri due amici. «Avevo quattordici anni, non sapevo neppure attraversare la strada e parlavo solo il dialetto del mio paesino in Calabria». Comincia a lavorare con gli scattini, i fotografi che ritraggono i turisti davanti ai monumenti. Ma vuole fare di più. Alla fine degli anni Cinquanta il boom economico ha reso l’Italia un Paese più spensierato e libero. Al cinema danno i musicarelli e i sandaloni e i loro protagonisti appaiono anche su rotocalchi e fotoromanzi. Nella Città eterna, oltre all’andirivieni di aristocratici, intellettuali, artisti e sovrani in esilio, arrivano attori e registi stranieri per girare i loro film negli studi di Cinecittà. La sera si ritrovano in via Veneto, all’Harry’s bar, al Cafè de Paris o al Caffè della Pace, e Rino va a fotografarli. Non sempre esce indenne dai suoi appostamenti. Ancora minorenne, la rissa con Peter O’Toole ubriaco che gli spacca un orecchio lo rende famoso. Intanto vende i suoi negativi all’Ansa, all’Associated Press, alla Reuters. «Il mio segreto? Non ho fatto il playboy. Ho lavorato sodo. Altri, invece, non avevano pazienza di aspettare e dopo un po’ andavano via con qualche ragazza. E poi non sono mai diventato troppo amico di un personaggio per non avere vincoli sul lavoro». La dolce vita è una parentesi favolosa e intensa, ma dura pochi anni. L’Italia deve far fronte a nuovi problemi: la contestazione, i sequestri di persona, il terrorismo. Anche il lavoro di Barillari cambia. Di giorno si occupa di cronaca nera e di notte continua a inseguire i vip nei locali del centro o nei salotti della “Roma bene”. Mentre si occupa di cronaca subisce aggressioni ben più gravi di quelle di via Veneto. «Negli anni di piombo ho scattato foto scomode, per questo mi hanno accoltellato e sparato», racconta. «Poi è arrivata la Seconda Repubblica con politici nuovi, non più grigi personaggi da scrivania ma gente che ama la bella vita». Smetterà mai il re di inseguire le “stelle”? «La guerra è guerra. Smetterò di fare il paparazzo solo quando non riuscirò più a fronteggiare la concorrenza. Oggi vinco ancora io. Vincono il mestiere, la testa e le gambe».
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Il body guard di Claudia Schiffer, seduta al tavolo del Bolognese , “innaffia” il paparazzo, 1994