4 Marzo 2020 di Redazione Redazione

Evoca tempi antichi e romantici, questa parola in cui è racchiusa l’essenza dei rapporti umani, oggi sempre più spesso ignorata in nome di troppi e spesso pretestuosi diritti: la cronaca, l’immagine, la creatività, la libertà artistica. Spesso, vittima di questa mancanza di rispetto è la donna e la sua immagine, abusata e prevaricata sfruttando la sottile, ma letale arma della valorizzazione. La donna come oggetto e fulcro del lusso, dell’eleganza, ma anche vittima predestinata, insieme ai bambini, di qualsiasi evento drammatico raccontato dalla cronaca.

La fotografia, se dietro alla fotocamera non c’è anche un pensiero etico e rispettoso, non è immune da questa strumentalizzazione. Anzi, troppe volte diviene l’alibi per realizzare lo scatto capace di “colpire allo stomaco”! Troppe volte ho visto, sul campo, colleghi cercare di drammatizzare un’immagine “sparando” un 20 millimetri sul seno di una donna che allattava sul bordo di una strada o sul volto di un’anziana consumata dalla vita o dentro una povera capanna dove la sopravvivenza non è mai una certezza. Protagoniste di questa idea distorta di racconto sono, quasi sempre, le donne e i loro infanti. Donne che spesso osservano senza capire il voyeurismo di chi crede, dietro lo scudo di una presunta libertà narrativa, di poter entrare nella vita di altri. Senza chiedere il permesso. Senza rispetto.

Un virus che contagia anche i “viaggiatori” armati di macchine fotografiche a caccia di immagini suggestive, meglio se drammatiche, convinti che nel prezzo di un biglietto aereo per una destinazione esotica sia compreso il diritto a entrare, senza remore e senza educazione, nello spazio vitale di chiunque. La verità non può mai essere il risultato di una mancanza di considerazione dell’altro. Neanche per il più grande dei fotografi!

 
Editoriale de Il Fotografo#321 di Michele Dalla Palma, fotografo, giornalista e scrittore.

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