16 Dicembre 2019 di Vanessa Avatar

Robert Frank. Apparentemente sciatte, le sue fotografie in quegli anni sfidavano il mondo della fotografia edificante: quello di Life , per capirci. Protestarono in molti: lo accusarono di sguardo cialtrone e di essere un uomo triste che odiava l’America. Si trovarono invece in sintonia gli scrittori e gli artisti della Beat Generation poiché Robert Frank con le sue fotografie rifiutava, come loro, le norme imposte, fotografiche e non, dando voce a un profondo bisogno di cambiamento politico e sociale, lontano dai romanticismi. Il sodalizio di Frank con la scena beat newyorkese partì subito in modo costruttivo: Jack Kerouac scrisse l’introduzione di The Americans perché vi riconobbe lo spirito del tempo; Gregory Corso, Allen Ginsberg e Peter Orlovsky interpretarono se stessi nel suo primo film Pull My Daisy  del 1959, co-diretto con il pittore Alfred Leslie. Jack Kerouac dopo aver visto il film una volta sola, scrisse d’un fiato il testo della voce fuori campo che poi recitò sopra un tappeto di musica jazz. Pull My Daisy , 26 minuti in bianco e nero e basato su un testo teatrale dello stesso Kerouac, è costituito da inquadrature per lo più fisse e molto di quel che vi succede è frutto di improvvisazione. La critica lo avvicina ancora oggi a Shadows  di John Cassavetes, anch’esso girato nel 1959 e vicino al movimento beat. Da questo momento in poi, Robert Frank affianca la sua carriera fotografica, sempre più di successo, a quella cinematografica. Nel 1968 segue Me and My Brother , il cui personaggio principale è Julius, il fratello di Peter Orlovsky, ripreso dopo aver trascorso dodici anni in un ospedale psichiatrico. La macchina da presa di Frank è concentrata su Julius che segue, in stato catatonico,  Allen Ginsberg e Peter Orlovsky impegnati in reading di poesia. Anche qui molti degli avvenimenti sono improvvisati e molte delle battute commoventi – come «Voglio essere amico di me stesso» – sono dello stesso Julius. È del 1969 Energy and How to Get It  che esce solamente nel 1981. In questo documentario di trenta minuti, Frank riprende gli esperimenti di un ammiratore dell’inventore Nikola Tesla e William Burroughs vi appare nella parte dello Zar dell’Energia.

Robert Frank affianca la sua carriera fotografica a quella cinematografica

Frank di film ne ha realizzati davvero  tanti e spesso sono stati utili per elaborare le esperienze della sua vita: in Conversation in Vermont del 1974 (26 minuti) prende in esame la relazione con i suoi due figli, Life Dance On  (1980) è in memoria della figlia Andrea e in The Present  del 1996 offre una riflessione sulla vita e la morte del figlio Pablo. Il suo film più controverso è però Cocksucker Blues  del 1972 sul tour dei Rolling Stones negli Stati Uniti per il lancio di Exile on Main Street . La band lo chiamò dopo che Frank aveva realizzato le foto per il disco sviluppando  e ingrandendo alcuni fotogrammi tratti da sue riprese in Super8. Dal momento che la macchina da presa segue gli Stones a ruota libera tra party, droghe e groupies, il film, per ordine del tribunale, può essere proiettato, ancora oggi, solo in presenza di Robert Frank. I suoi film sono molto personali e non tengono conto di un pubblico, ma hanno indicato a molti cineasti un esempio di libertà creativa. Per sua stessa ammissione gli è sempre stato difficile seguire una sceneggiatura e durante la realizzazione dei film  ha cercato nuove strade espressive, come ha sempre fatto nella fotografia. Confrontarsi con il cinema per Robert Frank è stata una necessità, è stato un bisogno di andare oltre il singolo scatto e produrre senso con una successione di immagini, che è poi la funzione del montaggio cinematografico. Tutto questo, a ben guardare, lo si percepisce già da come le fotografie, nelle pagine di The Americans , si susseguivano secondo catene di significato che raccontavano, tutte insieme, la verità di un Paese più triste che eroico

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