2 Giugno 2020 di Redazione Redazione
Il regista David Lynch afferma che l’illuminazione artificiale cinematografica non deve essere considerata essenziale, perché costringersi ad adattarsi e improvvisare può spingere in direzioni nuove e potenzialmente creative. Certo, è un rimaneggiamento della vecchia idea di “trasformare un problema in un’opportunità”, ma non fate l’errore di credere che, solo perché suona come un cliché da manuale di auto-aiuto, non sia degno di attenzione. La qualità della luce ha un ruolo talmente cruciale in fotografia da diventare spesso protagonista. Molti dei miei precedenti consigli hanno visto la luce come cardine, dalla ricerca delle ombre alla creazione di particolari effetti fino alle scelte di elaborazione.
L’illuminazione è una cosa a sé stante e non è forse neppure la più stimolante dal punto di vista della creatività, ma il commento di Lynch riecheggia come familiare – in alcune situazioni. Non sto parlando, lo preciso subito, dell’ora dorata, di quella magica o di quella breve finestra di luce blu che segue il crepuscolo. Questi sono momenti importanti per chiunque scatti in esterni, essenziali per i professionisti della fotografia commerciale, ma non li definirei direzioni creative. Sono fin troppo ben conosciuti e apprezzati. È nelle condizioni che “non vorrei” che le cose si fanno interessanti, perché costringono a uscire dalla pigra modalità “deve-essere-così”. Non so se succede anche a voi, ma io ho la pessima abitudine di volere certezze, anche se l’esperienza mi dice che è solo indolenza. Giusto per citare un altro classico cliché: dobbiamo tutti stare attenti a quello che desideriamo, perché potrebbe avverarsi. Se tutto quello che vogliamo è un’illuminazione perfetta e alla moda, se ci comportiamo in modo professionale l’avremo – e va benissimo, solo che non avremo mai altro.

Analizziamo lo scatto

Lo scatto di esempio – sopra in evidenza – era per un incarico commerciale, anche se a fini editoriali: si trattava di un libro fotografico sulle Maldive, il cui committente (LUX* Resorts) ci aveva concesso un ampio grado di libertà e supporto. D’altra parte, quando si lavora su commissione, fosse anche per se stessi, bisogna lavorare – e poiché l’orologio corre, bisogna lavorare sempre. Quindi, se pensate ad alcune condizioni di luce che sarebbe meglio evitare… be’, ai tropici, il sole a picco è abbastanza in alto nella lista! Il sole diretto di metà giornata non abbellisce, mentre l’abbellimento è uno standard della fotografia commerciale ordinaria. Avremmo preferito evitarlo, ma non era un’opzione: avevamo due settimane per produrre un intero libro e i momenti di luce più “sicura”, come albe e tramonti, erano già assegnati, avevamo già programmato anche immersioni, esplorazioni aeree e così via. Qui eravamo su una “vera” isola delle Maldive, nel senso che non era una meta turistica. L’idea centrale del libro era proprio mostrare la “vera” vita locale – il retroterra dei resort, insomma. La luce tropicale di metà giornata, quando il cielo è sereno, è durissima ed è anche diritta sulla verticale. Nei ritratti risulta stranissima e in genere viene evitata. Non manca però di alcune caratteristiche che possono rivelarsi utili. Questa sessione è iniziata con notevole frustrazione, anche perché l’altro aspetto del mezzogiorno tropicale è che le persone non vanno in giro con quel caldo. Io però dovevo trovare delle immagini e avevo anche con me una piccola squadra che sostanzialmente aspettava me. Quando per strada c’è poca gente e tu spicchi come straniero, non riesci esattamente a mimetizzarti e sparire: a questo punto avevo già perso una buona occasione perché ero troppo vicino e non ero pronto. A un certo punto ho trovato questo angolo coloratissimo. Gli angoli sono buoni punti di appostamento, perché le persone li girano – ed è sempre un’opportunità. Solo che non c’era nessuno… Finché la scuola dietro l’angolo non ha terminato l’orario di lezione e le mamme sono arrivate a prendere i bambini. In mezz’ora, è cambiato tutto. E la luce dura si è dimostrata perfetta: l’elevato contrasto era proprio quello che serviva, con le mamme nei loro abaya neri, la sabbia bianchissima della strada e gli altri colori squillanti e primari. Un contrasto perfetto con la parete.

di Michael Freeman
Fotografo britannico di viaggi, architettura e arte orientale, è autore di manuali di grande successo. Collabora con la rivista dello Smithsonian Institute e con molti editori internazionali.
Info su http://www.michaelfreemanphoto.com

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