L’illuminazione è una cosa a sé stante e non è forse neppure la più stimolante dal punto di vista della creatività, ma il commento di Lynch riecheggia come familiare – in alcune situazioni. Non sto parlando, lo preciso subito, dell’ora dorata, di quella magica o di quella breve finestra di luce blu che segue il crepuscolo. Questi sono momenti importanti per chiunque scatti in esterni, essenziali per i professionisti della fotografia commerciale, ma non li definirei direzioni creative. Sono fin troppo ben conosciuti e apprezzati. È nelle condizioni che “non vorrei” che le cose si fanno interessanti, perché costringono a uscire dalla pigra modalità “deve-essere-così”. Non so se succede anche a voi, ma io ho la pessima abitudine di volere certezze, anche se l’esperienza mi dice che è solo indolenza. Giusto per citare un altro classico cliché: dobbiamo tutti stare attenti a quello che desideriamo, perché potrebbe avverarsi. Se tutto quello che vogliamo è un’illuminazione perfetta e alla moda, se ci comportiamo in modo professionale l’avremo – e va benissimo, solo che non avremo mai altro.
Analizziamo lo scatto
Lo scatto di esempio – sopra in evidenza – era per un incarico commerciale, anche se a fini editoriali: si trattava di un libro fotografico sulle Maldive, il cui committente (LUX* Resorts) ci aveva concesso un ampio grado di libertà e supporto. D’altra parte, quando si lavora su commissione, fosse anche per se stessi, bisogna lavorare – e poiché l’orologio corre, bisogna lavorare sempre. Quindi, se pensate ad alcune condizioni di luce che sarebbe meglio evitare… be’, ai tropici, il sole a picco è abbastanza in alto nella lista! Il sole diretto di metà giornata non abbellisce, mentre l’abbellimento è uno standard della fotografia commerciale ordinaria. Avremmo preferito evitarlo, ma non era un’opzione: avevamo due settimane per produrre un intero libro e i momenti di luce più “sicura”, come albe e tramonti, erano già assegnati, avevamo già programmato anche immersioni, esplorazioni aeree e così via. Qui eravamo su una “vera” isola delle Maldive, nel senso che non era una meta turistica. L’idea centrale del libro era proprio mostrare la “vera” vita locale – il retroterra dei resort, insomma. La luce tropicale di metà giornata, quando il cielo è sereno, è durissima ed è anche diritta sulla verticale. Nei ritratti risulta stranissima e in genere viene evitata. Non manca però di alcune caratteristiche che possono rivelarsi utili. Questa sessione è iniziata con notevole frustrazione, anche perché l’altro aspetto del mezzogiorno tropicale è che le persone non vanno in giro con quel caldo. Io però dovevo trovare delle immagini e avevo anche con me una piccola squadra che sostanzialmente aspettava me. Quando per strada c’è poca gente e tu spicchi come straniero, non riesci esattamente a mimetizzarti e sparire: a questo punto avevo già perso una buona occasione perché ero troppo vicino e non ero pronto. A un certo punto ho trovato questo angolo coloratissimo. Gli angoli sono buoni punti di appostamento, perché le persone li girano – ed è sempre un’opportunità. Solo che non c’era nessuno… Finché la scuola dietro l’angolo non ha terminato l’orario di lezione e le mamme sono arrivate a prendere i bambini. In mezz’ora, è cambiato tutto. E la luce dura si è dimostrata perfetta: l’elevato contrasto era proprio quello che serviva, con le mamme nei loro abaya neri, la sabbia bianchissima della strada e gli altri colori squillanti e primari. Un contrasto perfetto con la parete.
Fotografo britannico di viaggi, architettura e arte orientale, è autore di manuali di grande successo. Collabora con la rivista dello Smithsonian Institute e con molti editori internazionali.
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