9 Agosto 2016 di Redazione Redazione

di Giovanni Pelloso


A essere indagata è l’altra metà della luna. Quella celata agli occhi dei più. E forse la più vera, perché non consumata dalla febbre vorticosa del divertimento e dalla calca di una moltitudine vociante. A incuriosire Stefano Cerio sono quei luoghi che, per alcuni momenti, rimangono sospesi, immobili, in attesa. A interessare la sua ricerca è l’inattività, l’assenza della figura umana, quel vuoto nel pieno di un mondo occidentale globalizzato e opulento e di un Paese, come la Cina, di un miliardo e trecentomila abitanti. A catturare la sua curiosità è, in una parola, l’off. Quando le luci si spengono e la macchina scenica, fino a prima in azione, si ferma. Spenta, inattiva, nella quiete del momento, essa si lascia avvicinare da un interlocutore che richiede tempo, non accontentandosi di attimi rubati e di incontri fugaci. Con metodo, Stefano Cerio registra le condizioni di vita di una stazione sciistica durante la notte, di una nave da crociera in attesa del nuovo carico, di parchi acquatici e di divertimento chiusi al pubblico. Il suo sguardo punta al particolare, al segno rivelatore, alla sineddoche – una parte per il tutto – che definisce e descrive un’invisibile realtà, tanto vicina quanto lontana.


«Una singola fotografia non colpisce mai la mia attenzione. Non esiste una bella immagine. Esiste solo un percorso coerente»


«Io non mi occupo di luoghi abbandonati. Se il posto è abbandonato non è assolutamente di mio interesse». Inizia con queste parole l’incontro con l’autore. E aggiunge: «È il rapporto tra vuoto e pieno che cerco. Quest’alternanza è fondamentale per la mia ricerca. In Cina, per esempio, questo rapporto è devastante. Quello che m’incuriosisce è, in una parola, l’assenza. Amo dire che gli scatti che realizzo rappresentano dei ritratti di persone che non sono lì».
Il vuoto diviene allora l’unica condizione possibile per scoprire ciò che con il pieno non può essere visto.
«È proprio così. Questi luoghi divengono irreali, o meglio, surreali, nel momento che sono vuoti. Nella normale fruizione, essi risultano colmi di gente, di vita, di attività. Pieni di divertimento. Di quella sovrabbondanza che non ti permette altro che una lettura evidente. Nell’assenza, ho avuto modo, invece, di investigare in altro modo la macchina scenica e la sua funzione di costruttore d’intrattenimento».


Quali parole affioravano alla vista di questi paesaggi?
«Assurdità. Amo molto, come artista, l’incongruenza. Questa è, per me, una condizione entusiasmante. Il mio è un lavoro che analizza l’incongruente».
Ed è una ricerca che proseguirà?
«Da molti anni sono concentrato su quest’unica tematica, anche se formalmente è abbastanza diverso. Non ho avuto fino a ora la sensazione di un suo termine. È un lavoro che necessita di tempo proprio per mantenere sempre chiaro quel confine che distingue e separa l’incongruenza dall’esotismo, per esempio. O dal kitsch. L’incongruenza si rivela con l’approfondimento, in un tempo lento. Solo allora riesci a coglierla con chiarezza. In Cina era la prima volta che scattavo fuori dall’Italia. Dopo tanti lavori, da Aquapark a Night Ski, questo è il primo luogo del divertimento di massa al di fuori dei nostri confini. Che sia la Cina, rimane secondario. Quello che mi interessava era l’atmosfera, quella luce particolare. Amo molto quell’uniformità di luce che crea un forte contrasto con le attrazioni e mostra il tutto senza ombre. È questo bagliore che caratterizza questo progetto cinese e che lo differenzia da altre foto scattate, per esempio in Italia, dove le atmosfere e i contrasti, anche in giorni di pioggia, sono comunque più decisi».
 
La prossima meta del tuo progetto? Dove vorresti andare?
«Mi piacerebbe andare in Corea del Nord. Penso che possa riservare delle grandi sorprese».


«La fotografia è un’arte visiva. È un medium come un altro e non può essere considerato diverso dalla pittura»

StefanoRitratto


Stefano Cerio vive e lavora tra Roma e Parigi. Inizia la carriera di fotografo a diciotto anni collaborando con L’Espresso. Espone al Diaframma di Milano, alla galleria Recalcati di Torino e nel 2004 propone il progetto Machine Man al Lattuada Studio (Milano). La Città della Scienza di Napoli gli dedica nel 2005 la personale Codice Multiplo. Realizza nel 2008 per la Regione Piemonte un’installazione in occasione della mostra Le Porte del Mediterraneo a Rivoli. Espone nel 2010 alla Galerie Italienne di Parigi e al museo Madre di Napoli.
Alla Fondazione Forma di Milano è nel 2011 con Winter Aquapark. Nello stesso anno proietta il video Summer Aquapark al museo Maxxi (Roma). Lo Studio Trisorio di Napoli ospita nel 2012 Night Ski. Chinese Fun è presentata l’anno successivo da Noire Contemporary Art a Torino. Nel 2014 espone Cruise Ship al Mois de la Photo di Parigi. Chinese Fun diviene nel 2015 un libro per Hatje Cantz e una nuova mostra alla Fondazione Volume di Roma.

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