24 Giugno 2019 di Elisabetta Agrati Elisabetta Agrati

Uscito faticosamente dall’isolamento cui la dittatura militare lo aveva costretto, il Myanmar, ex Birmania, ha saputo conservare intatte la bellezza dei paesaggi, la maestosità dei templi, la sacralità di tradizioni che si riflettono nella serenità dei suoi abitanti. Jonathan Brioschi, fotografo e viaggiatore, abituato a girovagare in ogni angolo del pianeta, ha trovato una terra che ha saputo nuovamente sorprendere il suo sguardo e regalargli inedite emozioni. Emozioni che si sono impresse nell’obiettivo della sua macchina fotografica e nella sua memoria, dando vita a ricordi che il fotografo ha voluto condividere con noi.

Intervista a Jonathan Brioschi

Jonathan, ci racconti la tua esperienza in Myanmar? Che cosa ti ha colpito maggiormente di questo Paese?
Avevo già visitato gran parte dei Paesi del Sudest asiatico tralasciando la Birmania: temevo che non potesse trasmettermi quelle emozioni di cui ero alla ricerca. Non poteva essere sensazione più sbagliata. Mai, come in questa terra, ho avuto modo di respirare quelle atmosfere di “raffinatezze orientali” di cui si legge nei diari dei primi viaggiatori che hanno raggiunto questa porzione di mondo. Qui il tempo pare essersi magicamente fermato: è l’immagine eterea di un Estremo Oriente che altrove è ormai irrimediabilmente perduto. La tranquillità e la pace si respirano a pieni polmoni e non solo nei templi, ma anche nelle strade, nei mercati, nell’incontro quotidiano con le persone, ovunque abbia avuto modo di andare. Tutti sono sorridenti, ospitali, sereni. Oltre alla magnificenza dei templi, è la gente il vero regalo dato in dono al viaggiatore.
Qual è la stagione migliore per visitare il Myanmar dal punto di vista fotografico e quali sono gli aspetti da considerare nel momento in cui si pianifica il viaggio?
Dal punto di vista fotografico il periodo migliore per visitare il Myanmar va dal nostro autunno alla primavera. Sconsigliata la nostra estate poiché, soprattutto a Sud, il Paese diventa estremamente piovoso: la celebre Golden Rock, per esempio, risulterebbe piuttosto complicata da immortalare. Di particolare interesse fotografico per la pianificazione del viaggio è considerare la possibilità di riprendere le mongolfiere in volo sulla piana di Bagan. Di norma, volano in corrispondenza dei nostri mesi invernali. Bagan fu la capitale di antichi regni birmani e oggi sito archeologico disperso nelle campagne. Una passeggiata in bici o con una carrozza trainata dai cavalli è il modo migliore per spostarsi nella piana e assaporare il lento scorrere della quotidianità. Indispensabile trovarsi al tramonto in cima a uno stupa (monumento religioso buddista): al di sotto, centinaia e centinaia di templi che si perdono alla vista si incendiano in una composizione di tonalità che spaziano dal ruggine delle costruzioni al verde oliva misto sabbia del terreno, per poi fondersi con lo zafferano, l’ambra, l’indaco e le striature cobalto del cielo. Non a caso, anche Marco Polo la definì “uno dei luoghi più belli del mondo”.
Hai incontrato usanze particolari e inusuali nel corso del tuo reportage? Quali accorgimenti fotografici consiglieresti per riprenderli?
Sul lago Inle, l’ingegno ha fatto sì che i pescatori abbiano imparato a navigare muovendo il remo con una gamba e mantenendosi in piedi, con un equilibrio quasi circense, con l’altra, in modo da avere le mani libere per maneggiare le nasse da pesca. Il lago si trova su un altopiano, quasi a 1.000 metri di altitudine, nella zona centrale della Birmania. Migliaia di persone abitano letteralmente sull’acqua. I villaggi, infatti, sono costruiti su palafitte, in legno di bambù o teak. In questo mondo fluttuante, gli spostamenti sono affidati a semplici imbarcazioni che sembrano volare sull’acqua. Nella borsa fotografica uno zoom, con una focale di non meno di 200 mm, risulterà indispensabile per riprendere i pescatori. Spesso sono lontani, per cui una focale corta potrebbe risultare inutilizzabile.
Dal punto di vista dell’attrezzatura fotografica, che cosa non deve mai mancare nella borsa del fotografo?
I volti birmani rapiscono l’attenzione. Soprattutto quelli femminili: indispensabile pertanto un buon obiettivo per i ritratti. Le donne, infatti, hanno l’abitudine di abbellire le guance con una crema cosmetica, di colore giallo, che si ricava dalla corteccia del thanaka, un albero simile al sandalo. Spesso ci si ritrova a fotografare all’interno dei templi, dove, naturalmente, si lavora in condizioni di scarsa luminosità. Particolarmente apprezzati quindi gli obiettivi luminosi e con un diaframma che consenta un’apertura di almeno f 2.8. L’uso del flash sarebbe superfluo e non restituirebbe la meraviglia incantata delle lame di luce che tagliano l’oscurità all’interno degli edifici di culto. I moderni sensori, che consentono di scattare anche a ISO elevati senza eccessivo rumore digitale, non fanno sentire la necessità di luci artificiali aggiuntive.
Dalle tue immagini emerge il desiderio di stabilire un rapporto con le persone: come si deve comportare un fotografo per avere un approccio corretto con le persone e le situazioni?
Nessuno è infastidito dall’essere fotografato. Anzi, le persone paiono apprezzarlo. Qui il Buddismo è fortemente sentito. È cosa comune che tutti, per almeno una parte della loro vita, trascorrano un periodo come monaci. La religione è vissuta profondamente, non come credo dogmatico, ma come stile di vita. Con la macchina fotografica provo a fermare queste atmosfere rarefatte che sono la cosa più difficile da imprimere in un sensore digitale. Davanti all’obiettivo scorrono immagini che vanno dirette all’anima: la timidezza di una bimba celata dietro un sorriso, la disciplina silenziosa di un monaco mentre attende – con la sua ciotola in mano – che gli sia servito il pasto, la dolcezza di una madre addormentata… Un caleidoscopio di emozioni fuori dal tempo. Qui è indispensabile prendersi il gusto antico, caro ai fotografi, di saper pazientemente osservare, in silenzio, la vita che scorre davanti a noi.
 
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