29 Maggio 2020 di Redazione Redazione
Il microcosmo qui descritto è fatto di apparizioni, di mini spettacoli di strada: fondali pop accolgono personaggi solitari che si muovono su palcoscenici dove ogni cosa può sorprendere. Lontana dall’approccio semplicistico di una certa street photography contemporanea, Veronica Siano compone colorati racconti singoli con la precisa intenzione di parlarci di un’umanità lontana e delle sue stesse sensazioni provate nell’incontro con gli altri.

La città mi ha travolta

«Tokyo è governata da un ordine e da un silenzio che ti sorprendono, ha angoli effetto zen, parchi tranquilli, e tutta quella quiete stride con i grattacieli e la frenesia che ci si aspetta da una metropoli. Il Giappone è un Paese che mi ha sempre affascinata, ma del quale sapevo poco. Ho letto molto prima di partire, volevo arrivare preparata e consapevole di cosa intendessi fotografare. Eppure, ne sono rimasta disorientata, non mi aspettavo ciò che ho incontrato. Le persone sono molto riservate, ma estremamente gentili e disponibili. Durante i primi giorni del viaggio tornavo in hotel frustrata, quasi arrabbiata, perché non riuscivo a scattare – era come se la città mi travolgesse e io non riuscissi a guardarla –. Tuttavia, lì mi sono sentita accolta, al sicuro, per nulla spaesata nonostante l’alfabeto e la lingua siano per me incomprensibili. È un altro mondo. La coscienza delle immagini è affiorata man mano. Ci sono voluti alcuni giorni e poi sono arrivate, quasi da sole. Anche ora, riguardandole a distanza di tempo, mi fanno provare strane sensazioni. Waku waku è una di quelle curiose espressioni locali che vanno in coppia e che ho imparato leggendo il libro I love Tokyo della Pina, rapper e conduttrice radiofonica di Radio Deejay, innamorata del Sol Levante. Sta a significare l’emozione che ti agita dentro e io ancora la sento. Mi hanno sempre parlato tutti del mal d’Africa, credo mi sia venuto invece per il Giappone».

Dove il rispetto ha un altro sapore

Smoking area © Veronica Siano
«Per me la fotografia è un modo di comunicare; è sempre dedicata alle persone. Cerco un’interazione con loro anche nel corso di un viaggio e mi piace conoscerle e scoprirne le abitudini attraverso la fotocamera. Prendiamo per esempio la foto di quei ragazzi col cellulare in mano. Sono in una smoking area all’aperto. Ricordo che fui sorpresa e attratta dall’incredibile equidistanza tra loro, una forma di rispetto per il prossimo, pur nella ricerca di un proprio spazio vitale. Oppure c’è un inserviente che finisce di riordinare un reparto di una sala giochi prima che chiuda, e lo fa con una testa di panda indossata con una naturalezza buffissima. I manga e gli anime sono parte della loro cultura e molti amano vestirsi in modo stravagante e colorato, interpretando i personaggi di quella letteratura.
Inserviente indossa una testa a forma di panda © Veronica SianoEsistono luoghi che si chiamano purikura, una foto del mio portfolio li racconta. Si tratta di locali pieni di cabine per fototessere, simili a quelle che noi troviamo in stazioni, centri commerciali e metropolitane e che usiamo all’occorrenza. La cosa assurda è che da quelle parti si sono trasformate in un divertimento imprescindibile per le ragazze. Entrano vestite normalmente e poi vanno in bagno, si cambiano e si truccano per farsi foto bizzarre, aggiungendo filtri e scritte e una marea di altre opzioni».

L’amore per la fotografia come narrazione

«Vengo dal mondo della comunicazione, materia che ho studiato all’università, ma sono sempre stata legata alla fotografia anche grazie a mio padre che me ne ha trasmesso la passione. Uno dei miei primi lavori lo realizzai a New York. Entravo nei taxi in servizio chiedendo ai passeggeri e all’autista se potevo raccontare le loro storie, facevo il percorso insieme a loro e scattavo. In molti accettavano e si aprivano al mio obiettivo. Quel progetto fu emotivamente faticoso, ma la fotografia per me è empatia, non posso evitare queste situazioni. Mi piace la parte istintiva del confronto con gli altri, ma uso anche la razionalità e c’è sempre una scelta pregressa su cosa e su come inquadrare. È stato così anche per questa serie dove la figura umana è spesso al centro, collocata dentro a scenari significativi che sono parte fondamentale della mia composizione. Non faccio street photography, l’ho approcciata nei miei primi corsi, ma quasi subito ho capito che mi piaceva di più occuparmi di documentazione e sono sempre alla ricerca di storie da raccontare. Anche il mio lavoro commerciale vorrei che prendesse quella piega. Mi piace il racconto della famiglia e avere un contatto diretto con i soggetti. Ho avuto il privilegio di seguire un corso con Franco Fontana, il maestro mi assegnò una borsa di studio al Toscana Foto Festival. Dopo aver seguito le sue lezioni smisi di fotografare per quasi due anni: mi fece capire che dovevo scattare solo se avevo qualcosa da dire».
A cura di Barbara Silbe

Veronica Siano

Nata nel 1985 in provincia di Milano, dopo la maturità scientifica ha proseguito gli studi laureandosi all’Istituto Universitario di Lingue Moderne (IULM) di Milano, in Scienze della Comunicazione, frequentando il corso in Relazioni Pubbliche e Pubblicità. Da sempre interessata al mondo della comunicazione, dopo l’università ha lavorato alla realizzazione di eventi, campagne pubblicitarie e progetti marketing per agenzie milanesi e, nel frattempo, nel corso degli anni ha portato avanti gli studi di fotografia, materia a cui è legata da sempre e passione che le ha passato il padre, con il quale fin da bambina sviluppava fotografie in camera oscura. Questa è la sua prima pubblicazione su una rivista.

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