27 Aprile 2019 di Vanessa Avatar

Il termine rivoluzione deriva dal latino revolutio, che trova a sua volta la radice nel verbo revolvere. La percezione comune e più diffusa del termine è quella, strettamente legata alla politica, della rottura violenta di un ordine costituito, in vista di un mutamento radicale dello status quo: la Rivoluzione francese e la Rivoluzione russa rappresentano i due momenti più noti ed esemplari di tale interpretazione. Due momenti che portano con sé anche l’aspetto paradossale del termine rivoluzione, inteso come momento che interrompe bruscamente un processo di cambiamento in atto – considerato troppo lento dai rivoluzionari, guidati spesso da una visione utopistica – e che dunque ha come conseguenza immediata un arresto dell’evoluzione (politica in questo caso) e non necessariamente una progressione. Ma il termine rivoluzione – inteso come rinnovamento, non necessariamente traumatico – appartiene a ogni ambito del sapere e dell’agire umano, tanto che si parla di rivoluzione industriale (con particolare riferimento alla società europea del XVIII secolo), di rivoluzione digitale (nella quale ognuno di noi è coinvolto), di rivoluzione dei costumi (la più celebre, tra quelle recenti, è certo quella degli anni Sessanta del XX secolo), termini tutti che descrivono cambiamenti fondamentali, epocali, le cui tracce persistono ben oltre il momento della loro apparizione. Allo stesso modo, si parla anche di rivoluzione culturale, talvolta legata a quella politica (come nel caso compiuto, almeno per pochi anni , delle avanguardie russe, o dell’ambizione surrealista), talvolta più direttamente parte dell’evoluzione del pensiero e delle diverse forme artistiche. Inoltre, esiste anche un’accezione scientifica del termine, che rimanda nuovamente alla sua radice latina: è quella espressa da Copernico alla metà del XVI secolo nel suo trattato “De revolutionibus orbium coelestium” dal quale prende avvio una nuova concezione del mondo. La rivoluzione, dunque, o meglio le rivoluzioni come momenti e pratiche della ribellione, del cambiamento, del rinnovamento, che possono avere un immediato riscontro, portare a conseguenze dirette, ma che possono anche mantenere quel carattere utopico che ne caratterizza spesso l’origine ideale, o quel carattere di ritorno su se stesse delle cose.

Come rappresentare allora fotograficamente la rivoluzione oggi, insieme e al di là del tradizionale reportage? E soprattutto, che significato può avere oggi il termine rivoluzione, in un mondo complesso, segnato da squilibri sociali sempre più marcati e dalle grandi migrazioni, fattori che minano la stabilità di intere aree geografiche e culturali? Chi è il rivoluzionario, oggi ? Difficile figurarsi l’epica di Che Guevara riportata nell’attualità, nel momento in cui il mito rivoluzionario è diventato icona funzionale ad ogni uso: forse anche in questo caso è necessario ripensare non solo le immagini, ma l’immaginario collettivo del mondo odierno. La rivoluzione digitale è una vera rivoluzione, o si tratta solo di un’evoluzione?

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