4 Ottobre 2019 di Vanessa Avatar

Werner Bischof

Tra i più grandi reporter del dopoguerra, credeva nella funzione sociale della fotografia più di ogni altra cosa, tanto da entrare a far parte dell’agenzia Magnum nel 1949.

Nato a Zurigo nel 1916, intraprende la carriera fotografica nel campo della moda e della pubblicità con ottimi riscontri tra le redazioni più in voga del momento. Tuttavia, nonostante l’advertising desse accesso a preziose e ricercate nozioni tecniche sul linguaggio delle immagini, l’approccio di questo specifico settore della fotografia non coinvolgeva fino in fondo Werner Bischof. Il suo sguardo era costantemente teso verso modalità e finalità espressive diametralmente opposte. E ben presto, in coincidenza dell’inizio della Seconda guerra mondiale, il suo principale interesse si rivela la documentazione dei fatti storici in corso e dei relativi contesti sociali e culturali attraverso la condizione dei luoghi e la vita delle persone. A queste ultime, in particolare, Bischof dedica gran parte della sua attenzione. Le figure umane rappresentano il vero filo conduttore della sua opera fotografica, volta alla rappresentazione dell’evento, non come momento sensazionale quanto, piuttosto, come fenomeno che incide profondamente sulle vite delle popolazioni. I suoi viaggi lo portano a realizzare numerosi reportage in Europa all’indomani del conflitto mondiale, in India dove attraverso scene di povertà e di miseria intravede gli sviluppi industriali di una delle nazioni leader del nuovo millennio, in Corea, dove racconta il dramma della guerra e negli Stati Uniti, pronti ad affermarsi come grande potenza economica internazionale.

Dalla Nuova Oggettività al reportage

Gli anni della formazione vedono Werner Bischof impegnato dal 1932 al 1936 nel corso di Fotografia alla Scuola di Arti Applicate di Zurigo. Il suo maestro è il fotografo Hans Finsler, esponente della Nuova Oggettività, un movimento artistico nato in Germania alla fine della Prima guerra mondiale che alle “illusioni sentimentali” preferiva la freddezza e la lucidità descrittiva. Da questa corrente di pensiero l’autore adotta l’impeccabile precisione formale che distingue i suoi still-life e le prime fotografie di moda. Nel 1939 è incaricato di progettare l’allestimento del padiglione delle Arti grafiche all’interno dell’Esposizione nazionale svizzera. Nel 1942 entra a far parte della redazione della rivista svizzera Du  come fotografo di moda. In questo periodo, il suo stile è un’elaborazione di grande valore estetico della Nuova Oggettività. La moda offre all’autore i soggetti di un’interpretazione formale basata sull’eleganza di composizioni essenziali, su nitidi giochi di luci e ombre e sulla morbidezza dei bianchi e dei neri. Questi elementi espressivi rappresentano le costanti stilistiche della sua opera anche quando abbandona la moda per dedicarsi a documentare i luoghi del secondo conflitto mondiale. Nei primi anni di guerra si trasferisce a Parigi e si arruola nell’esercito svizzero come reporter. Quest’esperienza gli permette di confrontare la fotografia controllata del set con il fotoreportage e di immergersi nell’azione della vita che scorre. Ma è il 1945 il vero anno della svolta, quando Bischof abbandona gli studi fotografici per intraprendere un avventuroso viaggio in jeep nei Paesi devastati dal conflitto: Germania, Francia, Olanda, Ungheria, Italia e Grecia. Qui documenta la situazione dei profughi, seguendo l’attività umanitaria dell’organizzazione svizzera Schweizer-Spende. Inizialmente i suoi reportage saranno pubblicati su Du , con cui continua a lavorare come freelance. L’autore inizia una nuova fase della sua carriera dove il rispetto delle persone confluisce in immagini che alla brutalità e all’orrore preferiscono l’eleganza e l’espressività dei soggetti umani. In estrema sintesi, i reportage di Werner Bischof non si fermano alla superficie della distruzione, ma entrano nel vivo del racconto sociale della ricostruzione post-bellica.

L’ingresso in Magnum

Con la pubblicazione del reportage del 1945, Bischof riceve numerosi riconoscimenti internazionali che lo incoraggiano a intraprendere un nuovo viaggio in Italia e in Grecia in collaborazione con l’organizzazione umanitaria Swiss Relief. In questi anni iniziano le collaborazioni con le testate più importanti del momento. Nel 1948 fotografa le Olimpiadi Invernali di St Moritz per la rivista Life  e lavora assiduamente per Picture Post , The Observer , Illustrated  ed Epoca . La sua carriera è ormai all’apice quando nel 1949 l’agenzia Magnum lo invita a far parte del suo organico. È stato il primo fotografo a iscriversi alla celebre agenzia con i membri fondatori. Nelle collaborazioni con la stampa, rifiuta la superficialità e il sensazionalismo da copertina, tanto cari ai direttori delle riviste. In ogni momento della carriera, la sua visione del reportage ha riguardato la vita delle persone nella dimensione quotidiana, a stretto contatto con le tradizioni culturali e sociali dei Paesi e delle realtà di cui si è occupato. Nonostante la specificità etica del suo lavoro e lo stile anti-sensazionalistico, Werner Bischof ha lavorato incessantemente con numerosi magazine che riconoscevano il valore indiscusso delle sue fotografie. Per Life  ha raccontato la carestia in India (1951) e ha continuato a lavorare in Giappone, Corea, Hong Kong e Indocina. Le immagini di questi reportage sono state utilizzate dalle riviste di tutto il mondo.

Immagine in evidenza On the road to Cuzco, near Pisac, Perù, maggio, 1954

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