15 Marzo 2019 di Vanessa Avatar

L’obiettivo della macchina fotografica immortala un orso marsicano intento ad attraversare di notte una strada deserta in un borgo appenninico del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Lo scatto, realizzato da Marco Colombo, ha vinto il Wildlife Photographer of the Year 2018 nella sezione “Urban Wildlife”, testimoniando l’attenzione del fotografo per la natura, in particolare quella minacciata. Nel lavoro di questo autore, infatti, la passione per la fotografia si intreccia all’intento di trasformare ogni immagine in uno strumento di divulgazione. Ogni sua fotografia ci parla della bellezza della natura, anche quella che si nasconde nel sottobosco o nei meandri di un fiume, e della necessità di preservarla.
Nel corso della nostra chiacchierata, durante un incontro organizzato a Milano dall’Associazione culturale Radicediunopercento in occasione della mostra che ha presentato gli scatti finalisti della precedente edizione del Wildlife Photographer of the Year, Marco Colombo ci ha raccontato che cosa rappresenta per lui la fotografia naturalistica, svelandoci i “segreti” dietro lo scatto che lo ha incoronato tra i vincitori di uno dei concorsi più prestigiosi al mondo.

Intervista a Marco Colombo

Marco, lo scatto Crossing Paths si è aggiudicato il primo premio nella categoria “Urban Wildlife” al Wildlife Photographer of the Year 2018. Ci racconti come l’hai realizzato?
Vado spesso nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, che ringrazio per il supporto. Lì ci sono gli ultimi orsi marsicani, una sottospecie endemica di orso bruno dell’Appennino, estremamente minacciata. Rimangono cinquanta-sessanta orsi che vivono all’interno del parco e nelle zone limitrofe. In questa immagine, scattata dal parabrezza dell’auto ferma, si vede l’orso che attraversa di notte la strada con la luce dei lampioni. Dietro c’è un murales che ritrae la cantante Rihanna con un copricapo indiano, un lupo sormontato da un’aquila, con cui l’autore ha voluto rappresentare il rapporto tra l’uomo e la natura. Si tratta di una sorta di metafotografia: sullo sfondo, c’è un murales che parla del rapporto tra uomo e natura e la foto stessa serve a comunicare un messaggio, ossia che è necessaria una convivenza con la fauna selvatica e che l’orso corre molti pericoli a spingersi nei centri abitati. Ho scattato questa fotografia molto tempo fa e ho aspettato veramente tanto a condividerla e a diffonderla: avevo il timore, trattandosi di un luogo riconoscibile, che avrei messo in pericolo l’orso perché molte persone sarebbero venute lì nella speranza di avvistare altri esemplari. Su Facebook e sui social ci sono molti video di persone che inseguono in auto orsi e altri animali: è un problema grave perché così mettono in pericolo se stessi guidando con il cellulare, l’animale che potrebbe saltare giù da un muretto o da un ponte per scappare e le persone che eventualmente sono sul tragitto dell’animale. Nel mio caso, invece, si vede benissimo che l’orso cammina tranquillo parallelo a me e non è assolutamente spaventato.
Da questa immagine emerge anche come, spesso, la forma debba essere al servizio del contenuto.
Questa fotografia non è perfetta dal punto di vista tecnico perché è scattata a ISO molto alti, c’è molto rumore. L’orso è un po’ imballato sullo sfondo, non è immediatamente riconoscibile. Però è uno di quegli scatti che raccontano qualcosa, in questo caso il rapporto tra l’uomo e la natura, nonché i rischi che questa specie corre.
Poiché la situazione dell’orso marsicano è molto critica, ho pensato di usare questa fotografia per una campagna di sensibilizzazione: chi vuole può fare la propria donazione a Salviamo l’Orso, associazione che contribuisce alla conservazione di questo animale (www.salviamolorso.it).
A proposito di condivisioni sui social, oggi si va verso una spettacolarizzazione della fotografia, si cerca a tutti i costi l’immagine straordinaria senza tenere conto delle conseguenze. Cosa ne pensi?
Bisogna sapere quali paletti non superare. La presenza umana in sé può disturbare gli animali. Il fatto è un altro, però: purtroppo, o per fortuna, la fotografia naturalistica è diventata una vera e propria attività outdoor, una cosa che si può fare nel tempo libero, come fosse andare in canoa, a correre… E ovviamente non sempre le persone si mettono a studiare prima di fare una cosa. Quindi vanno a intraprendere certe azioni o vanno a fotografare in certe zone sensibili, arrecando danni. Non stiamo fotografando degli oggetti ma degli organismi viventi. Quindi dobbiamo sapere come si comportano per sapere qual è il limite da non superare. È ovvio che se ti metti a fotografare una rana con il macro, lei si accorge che ci sei. Però, un conto è fotografarla standole vicino e un conto è fare altre cose che possano danneggiarla.
Secondo me la differenza sostanziale, oltre alla preparazione in termini di documentazione scientifica, impegno sul campo ed esperienza, è la progettualità: quindi, non continuare a fare fotografie a caso, cercando di realizzare l’immagine più bella possibile, ma dedicarsi solo a un luogo o a un progetto a lungo termine, in cui si segua un filo conduttore approfondendolo sotto tanti punti di vista.
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