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Dopo il liceo scientifico studio fotografia allo IED e lavoro come assistente freelance presso lo studio milanese Baobab. Terminato lo IED frequento un corso di digital publishing design promosso dalla Regione Lombardia e partecipo alla progettazione di un portale web presentato al Salone del Libro di Torino nel 2002. Dal 2004 al 2008 lavoro come fotografo nel campo del turismo e come matrimonialista in Messico (Playa del Carmen) e in Sardegna (Orosei). Nel 2013 pubblico il romanzo Trauma di Stato per Autodafè Edizioni e dodici racconti per la collana Narrativo Presente della stessa casa editrice. Nel 2017 pubblico Stella di periferia, il mio secondo romanzo, per Nulla Die Edizioni. Espongo due fotografie di un reportage su via Padova (Milano) alla Triennale della fotografia italiana presso il palazzo Zenobio a Venezia. Dal 2018 al 2020 collaboro col brand di abbigliamento Slowear come fotografo di eventi e di interni a Milano. Nel 2019 espongo Sulla tua pelle, un progetto fotografico sulle cicatrici e la loro storia, presso lo spazio espositivo OnOff a Milano. Nel 2020 pubblico il mio primo libro di fotografia On your skin per 89 Books Nel 2021 partecipo al progetto Cùcù di Oliviero Toscani, un “museo-galleria a cielo aperto” sui manifesti stradali digital frame dislocati per Milano, esponendo una fotografia sul tema “lockdown in pandemia”. Realizzo la copertina del libro Adios Amigos! L’incredibile epopea underground dello Spazio Ligera di Riccardo Bernini e Federico Riccardo Chendi. In occasione del Milano Photofestival espongo per la seconda volta Sulla tua pelle presso Spazio Raw a Milano. Nel 2022 apro La bottega del ritratto a Vimodrone, nello stesso spazio in cui mio nonno aveva uno studio di fotografia nel 1957. L’idea è quella di valorizzare il ritratto stampato come testimonianza della propria identità e come ricordo per i posteri. Partecipo alla mostra collettiva El Barrio Espolon (Milano, Roma, Napoli) promossa da Perimetro ed Espolon Tequila con una fotografia che ritrare il writer Dep 1. Pubblicazioni: Il Fotografo (2024), Il Giorno (2024), Rumore (2004), Il Fotografo (2023), Flewid (2022), Perimetro Nairobi (numero speciale 2021), Image Mag (2017), Volo Magazine (2016), Fluffer (2015), Riders (2014), Cronaca Vera (2014), New Gentlemen’s Club (2010), Caffelatte Magazine (2003)

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Tino Stefanini

Ho fotografato Tino Stefanini in un momento speciale della sua vita. Domenica 8 settembre, giorno del nostro incontro, ha concluso definitivamente la sua detenzione, che tra prigione, semilibertà e domiciliari è durata cinquant’anni.
Tino è uno dei tre superstiti della famigerata banda Vallanzasca, insieme a Osvaldo Monopoli e Renato.
Negli anni Settanta hanno messo a ferro e fuoco Milano e la loro batteria era considerata la più pericolosa d‘Italia.
Inizia la sua carriera criminale da minorenne, rapinando e rubando auto; a vent’anni è già un bandito professionista. Quando entra in carcere da maggiorenne, ci trova tutta l’élite della criminalità milanese, compreso Renato. Dietro le sbarre si rafforzano amicizie e progetti. Pian piano evadono tutti, per poi ritrovarsi nella sua zona, la Comasina. Qui nasce ufficialmente la banda Vallanzasca.
Rapine in banca, sequestri, scontri a fuoco con la polizia e le bande rivali (Turatello, Flachi e Coco Trovato).

«Nella vita normale siamo sempre state brave persone, educate e disponibili. Nel quartiere difendevamo i più deboli, aiutavamo economicamente chi aveva bisogno, durante le rapine non ce la prendevamo mai con la clientela o con chi lavorava nella banca. Non esiste più quella criminalità romantica di allora, io non potrei mai appartenere a quella di oggi. Manca il rispetto e la dignità, per me picchiare una donna o truffare un anziano è qualcosa di inaccettabile. Io facevo il criminale contro le istituzioni, rapinavo dove c’erano i soldi veri.»

«Penso di essere diventato un criminale per una sorta di ribellione quasi inconscia verso le differenze sociali che vedevo in Comasina. Chi aveva troppo e chi niente. La mia è stata una forma di lotta contro il sistema, ma senza una vera consapevolezza. Non sono un brigatista o uno dei NAR, non sono né di destra, né di sinistra. Nella criminalità ho trovato una strada diversa rispetto a quella imposta dall’alto, che consideravo ingiusta.»

«Ho girato una quarantina di carceri in Italia, di cui cinque speciali. Solo in due ho trovato una funzione rieducativa finalizzata al reinserimento nella società: sull’isola della Gorgona e a Bollate. In tutti gli altri no. E infatti le percentuali parlano chiaro. Chi esce da Bollate ritorna a delinquere nel 17% dei casi, altrove nel 75%. Nel carcere sei represso, sempre in attrito con le guardie, abbandonato a te stesso. Il peggiore di tutti fu quello speciale dell’Asinara. Dalla turca del gabinetto entravano i topi in cella, dovevamo chiudere il buco con una bottiglia. C’erano scorpioni, salamandre e cervi volanti. Si faceva un’ora e mezza d’aria al giorno con una rete sopra la testa. Si mangiava poco e da schifo. Scrissi al Corriere della Sera chiedendo la pena di morte perché non sarei sopravvissuto in quel posto. Per fortuna dopo la rivolta dei detenuti mi hanno trasferito»

«Se tornassi indietro non rifarei questa vita. Nonostante non abbia rimpianti, ho perso troppo: la famiglia, l’amore, realizzare qualcosa di costruttivo. Mi è mancato il fatto di risparmiare per andare al mare, per la settimana bianca, con la moglie e i figli. Noi facevamo soldi in fretta e li bruciavamo per cose futili: macchine, case, locali, vestiti, donne. Non davamo l’importanza al denaro come chi fa una vita normale.»

Vimodrone

8/9/2024

Ritratto

ISO 160

F5,6

85 f1.4

160

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Esercizio a tema: Il ritratto

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