Avatar Emanuele Faccio Gofas

Collection of My Beautiful Photography

Nova Lux, etiam inferis lucet.

“Le persone sono come le vetrate.
Scintillano e brillano quando c’è il sole, ma quando cala l’oscurità rivelano la loro bellezza solo se c’è una luce dentro”.
(Elisabeth Kubler-Ross)
Ricerca personale sul tema della morte e sul tentativo umano di rappresentare fisicamente e materialmente un mondo “sotterraneo” che, pur vivendo all’ombra degli spazi che la società gli dedica, gode di una luce propria.
Un mondo distaccato, progettato per esistere parallelamente al nostro, dapprima come simulacro del dolore travolgente, straziante e drammatico, creato a rappresentazione materica di sentimenti tanto estremi e vigorosi da prendere consistenza e forma ma che poi, con gli anni, riesce autonomamente a trasformarsi in qualcosa di profondamente diverso.
Come la polvere che qui ricopre ogni cosa stratificando sotto di essa ricordi, storie e vite, così l’inesorabile fluire del tempo avvolge questo mondo dimenticato trasfigurandone la sua natura di semplice necropoli ed eleggendolo a capoluogo di anime capaci di assumere nuovi ed autonomi significati.
Sospesi in questo spazio senza tempo, centinaia di corpi marmorei costruiti ad arte a rappresentare vite spezzate, abitano questi spazi bui e deserti evolvendosi e trasformandosi da oggetto in soggetto.
Cosa resta di un sepolcro quando in vita non rimane più nessuno a piangere quella perdita, mancando così la ragione capace di significarne la stessa presenza? Rispondere a questa domanda è il ruolo di questa ricerca con la quale ho voluto testimoniare l’inusuale viaggio che un visitatore di Staglieno compie camminando per quegli infiniti corridoi tappezzati di lapidi e di opere d’arte eccezionali, tanto “umane” per fattezze e posa da prendere vita ed impadronirsi, esse stesse, delle identità impresse sulla pietra per mezzo di quelle scritte ormai consunte.
Mancando la fotografia del defunto, infatti, la sua stessa rappresentazione tridimensionale si sostituisce inconsapevolmente e definitivamente ad esso nella mente del visitatore. Essa stessa prende vita in mezzo a quella miriade di corpi simili e dotati, ora, della sua medesima vita.
Allora tutto cambia, gli spazi si trasformano e si illuminano di una luce nuova e capace di ridisegnarne un significato. Quegli ambienti diventano la loro casa, il palcoscenico immutabile sul quale queste nuove vite di pietra sono destinate a rimanere per sempre, perché per loro non esisterà mai una fine, mai una morte rischierà di annullarle.
Non siamo più testimoni di vite spezzate ma diventiamo, piuttosto, spettatori di vite eterne destinate a sopravviverci.
In quest’ottica anche il rapportarsi ad esse, l’osservarle e l’avvicinarle muta in modo inconsapevole ma decisivo. L’approccio è istintivamente riservato, delicato e rispettoso come conviene quando si entra in casa d’altri in punta di piedi al fine di osservare le loro vite, i loro sentimenti, i loro drammi. Il punto di vista, quindi, non è mai impertinente o sfrontato ma piuttosto educato e riguardoso, lontano dalla volontà di invadere lo spazio personale o di rischiare di farlo. Questo approccio spesso si
traduce con un posizionamento in basso dell’obiettivo che crea, inoltre, maggior tensione e grandiosità della figura, altre volte il punto di ripresa è alle spalle o più lontano dalla scena, soprattutto da quelle più intime o drammatiche che richiedono un maggior riguardo.
Un mondo vivo, fortemente dinamico nella sua molteplicità di gesti e pose, una convivenza di corpi che abitano insieme uno spazio che gli è stato attribuito ma che il tempo gli ha permesso di conquistare e fare proprio.
Ma c’è ancora dell’altro, perché quando vediamo le cose da una prospettiva diversa, con una luce diversa, magari quella che siamo capaci di emanare noi stessi quando il buio ci circonda e vogliamo dare all’indistinto un significato, allora tutto cambia.
Così, in questo universo parallelo che prende forma, fantasiosamente anche gli alberi, i muri, le muffe e le architetture si trasformano e diventano altro, diventano simboli definiti e netti di pensieri e visioni in grado di assalirci intimamente proiettandoci in altri mondi, trapiantandoci occhi finalmente in grado di vedere.
Emanuele Faccio Gofas

***********************************
PS [Il lavoro è composto da 34 scatti, nel caso foste interessati a visionare tutta la serie vi prego di indicarmi un modo per inviarveli, grazie]

Staglieno, Genova, GE, Italia

29/12/2015

Lascia un commento

qui