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1916 – Cento anni dopo

Maggio 1916

Il comando degli Altipiani mandò l’ordine alla ” Catanzaro ” di recarsi a frenare l’urto avversario sulla linea di Monte Interrotto – Mosciagh; non si conosceva la sorte dei reparti che lassù s’eran ritirati. Evitando la via scoperta che passa per Asiago, girammo intorno al Sisemol e per Ronchi raggiungemmo il ridente paesello di Gallio, dove ci colse la notte. Non una guida, non un uomo pratico dei luoghi; le truppe stanche, affamate, entrarono nei boschi e procedettero con le misure di sicurezza verso la meta fissata, col pericolo di imbattersi ad ogni passo nel nemico. Misurava la mesta marcia il rombo del cannone austriaco puntato su Asiago e illuminavan di tratto in tratto la densa oscurità le fiamme che si levavano alte dalla città in rovina. Verso le due del mattino arrivammo alle pendici dell’Interrotto e, dopo una breve sosta, salimmo per erti sentieri fra le boscaglie, sulla cima del monte. Ahimè, quale spettacolo! All’impazzata fuggivano i cavalli dell’artiglieria; alcuni, gravemente feriti, rantolavano sul terreno, altri si trascinavano a stento verso il piano, allontanandosi dal campo della battaglia. Gli austriaci avevano occupato la cima del monte Mosciagh conquistando due batterie da campagna dopo una lotta a corpo a corpo con i difensori. Noi ci trovammo così impegnati in una mischia insidiosa, perché la densa boscaglia non permetteva di osservare le posizioni dell’avversario. Di fronte all’impeto dei nostri fanti che, pur di avanzare, non si spaventavano delle perdite, gli austriaci si ritirarono, lasciandoci in possesso della cima del Mosciagh, ma senza abbandonare le due batterie da campagna catturate nel mattino. La vittoria era nostra, ma non completa; occorreva liberare i nostri pezzi. Verso il tramonto si scatenò una terribile tormenta che prostrò fisicamente le truppe già provate e affamate: il rancio non arrivava. La giornata seguente passò in continue scaramucce: in una di queste il comandante del mio battaglione, maggiore Corrado, rimase ferito ad un braccio. Non volle lasciare il suo posto di combattimento, non fiatò per non impressionare i soldati: alle nove di sera si doveva attaccare di sorpresa per riconquistare i nostri cannoni. Arrivata l’ora, le truppe fecero irruzione; ma il nemico era all’erta e rispose con un fuoco micidiale di mitraglia e di bombe a mano; la notte calante rendeva terribile la battaglia; le grida degli assalitori si confondevano con i lamenti dei feriti abbandonati sul terreno e calpestati dai compagni che accorrevano. Raggiungemmo i nostri cannoni e li liberammo, ma a prezzo di molto sangue. Io non so quanti furono i valorosi che giacquero nella mischia furiosa: intorno a me, ferito gravemente ad una coscia e confuso con i miei soldati, si levavano alti i lamenti: caduti presso un cannone , avemmo la sventura di non poter essere subito asportati perché contro i pezzi era incessante il fuoco del nemico, il quale contendeva ai nostri il possesso. Finalmente l’alba sorse a riscaldare la nostra completa vittoria e a illuminare il triste campo della lotta. Da questo fatto d’armi, che ebbe una così simpatica ripercussione per tutto il Paese trepidante e commosso, il 141° Fanteria trasse il suo motto glorioso:” Su Monte Mosciagh la baionetta ricuperò il cannone “, e l’insigne scultore calabrese Volterrani l’eternò in una magnifica medaglia di cui ogni fante del Reggimento volle un esemplare che gli fosse caro ricordo. Dal canto suo il Comando Supremo, nel bollettino del 29 maggio si compiacque additare alla riconoscenza della Nazione i combattenti del Mosciagh con queste parole: ” Le valorose fanterie del 141° con furiosi attacchi sono riuscite a togliere al nemico e a mettere in salvo alcune batterie da campagna.” Ma anche le posizioni del Mosciagh, conquistate con tanto sangue, dovettero essere abbandonate il giorno 28 maggio, perché la linea difensiva era stata dai superiori comandi arretrata al margine meridionale dell’altipiano d’Asiago. ” Ritirarci? – si chiedevano i soldati – ma perché ? Mandino altre truppe, si dispongano ai nostri lati, e noi continueremo ad avanzare “. Ma la ritirata era una tristissima necessità ed i fanti obbedirono con nell’animo un grande sconforto, anche perché si dovettero lasciare sul terreno, senza alcuna sepoltura, i nostri morti e, doloroso a dirsi, persino i feriti gravi.

Asiago, VI, Italia

2/8/2016

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