30 Gennaio 2020 di Elisabetta Agrati Elisabetta Agrati

Nato nel 1995 da un’idea di Beppe Tenti, Overland ha fatto da apripista ai docu-travel televisivi raccontando, durante avventurose spedizioni via terra, gli angoli più remoti e le culture meno conosciute del pianeta. Oggi è il figlio di Beppe, Filippo Tenti, a raccogliere il testimone e a dare un volto nuovo a Overland. Pur mantenendo una continuità con la visione originaria del padre, le spedizioni divengono anche un’occasione per portare nel mondo messaggi di solidarietà. È lo stesso Filippo a raccontarci in che modo Overland è cambiato: «Prima si trattava di un viaggio di scoperta, facevamo lunghi tratti in “stile Guinness”, ma raccontavamo poco di ogni luogo che attraversavamo. Ora non ci interessa più andare da un angolo all’altro del pianeta per fare più chilometri possibili, l’intenzione è di esplorare nel dettaglio le località, di conoscere le persone, di sperimentare la vita della gente locale».

Overland e il ruolo della fotografia

Tutto questo ha portato a esperienze e situazioni – alcune drammatiche, come arresti e sparatorie – che Filippo ha saputo tradurre in splendide immagini. Gli chiediamo, a questo proposito, quale sia il ruolo della fotografia nelle loro spedizioni: «Noi siamo lì per realizzare un documentario televisivo però, dovendo fare molta ricerca per le nostre storie, mi viene facile approfittarne anche dal punto di vista fotografico. Avendo la possibilità di viaggiare molto, di visitare luoghi bellissimi, di andare in posti dove sono stati pochi uomini prima di me, è semplice portare a casa dell’ottimo materiale – con questo non voglio dire che basti avere un bel panorama per fare una bella fotografia, però in qualche modo aiuta».

Overland, tra scoperta e solidarietà

Nonostante l’approccio delle spedizioni sia cambiato nel tempo, Overland resta soprattutto un’opportunità per avvicinare culture e persone. Sono tanti gli incontri vissuti da Filippo, ma uno dei più emozionanti è stato in Congo: «Eravamo con una missione di Salesiani che si occupava dei bambini-soldato che militavano tra le fila del Lord’s Resistance Army, guidato da Joseph Kony. C’era un bambino che si faceva chiamare Generale: aveva sette anni, l’avevano drogato, aveva dovuto ammazzare il padre, la madre e la sorella e poi l’avevano fatto entrare nell’esercito. Aveva una cicatrice sulla testa perché gli avevano tirato un colpo con la canna del fucile e gli avevano spaccato il cranio. Era specializzato nel dare fuoco alle capanne nei villaggi di civili e quando la gente scappava fuori, l’esercito faceva il tiro al bersaglio. I Salesiani, però, l’hanno accolto nella loro missione e sono riusciti a toglierlo da questa terribile situazione. All’epoca facevamo un cine-progetto di solidarietà, portavamo il cinema itinerante nella giungla: riuscire a far sorridere di fronte allo schermo questo bambino che aveva avuto una storia pazzesca mi ha molto colpito». E il sorriso di questo ragazzo – e delle tante persone che Overland ha incrociato in questi anni – è la testimonianza più bella di come l’avventura, la scoperta, la voglia di superare i propri limiti si possano trasformare anche in solidarietà e speranza per un futuro migliore.

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