7 Aprile 2019 di Vanessa Avatar

Il tema ricorrente nelle sinossi dedicate a Blow-Up è quello dell’incomunicabilità all’interno di una società contemporanea rappresentata dalla Swinging London. Di fatto se questa tematica è presente (e sottolineata dai dialoghi che lo stesso Antonioni con Tonino Guerra ed Edward Bond seppe distillare raggiungendo a tratti punte di surreale, lucidissimo, genio) per chi si occupa di immagine ci sono ampi spunti di riflessione tanto sullo statuto stesso della fotografia quanto sull’estetica intesa come fenomenologia della percezione. La profondità con cui l’analisi di Antonioni si muove intorno a queste tematiche è sottolineata a livello plastico fin dalle prime inquadrature in cui i mimi, comparendo all’interno dell’inquadratura da destra, sottolineano il loro inquietante ruolo di elemento turbativo dello status quo sociale. Non a caso tutte le volte che compariranno sulla scena in gruppo, tranne in un’inquadratura di raccordo e nell’ultima apparizione in macchina immediatamente prima del finale, lo faranno entrando sempre dal lato destro. Questo dettaglio apparentemente ininfluente sottolinea quanto potente e attenta fosse la considerazione del ruolo dell’immagine nella costruzione narrativa di Antonioni. Ma l’intero film analizza una percezione che si sviluppa non attraverso il movimento e la naturale visione binoculare cari all’estetica di Merleau-Ponty, bensì attraverso la visione statica e monoculare dell’obiettivo fotografico. Attraverso di esso infatti Thomasil protagonista, fotografo di moda con velleità nei confronti delle tematiche sociali, presume di aver prima sventato e poi documentato un omicidio. L’immagine fotografica che, di ingrandimento in ingrandimento, finisce per circondarlo, estraniandolo dal reale e sostituendosi a esso, è lo strumento attraverso il quale il mondo viene percepito. E la negazione esperienziale, offerta dal dato reale dei sensi quando Thomas torna sul luogo del presunto omicidio, finisce per offrire le chiavi di accesso a un nuovo mondo. Se prima i mimi costituivano il fattore perturbante e non accettato, visto comunque con distacco e lontananza da un Thomas completamente adeguato al diktat imposto dal contesto sociale in cui prospera, nel finale si trasformano in guide verso un sentire altro in cui, travalicato il limite della convenzione, si può essere concretamente partecipi di una partita a tennis giocata senza palla. Ed emblematica è la sospensione di giudizio con cui, nell’epilogo narrativo, alla visione dei mimi che si contendono la palla immaginaria con racchette immaginarie, si sostituiscono i suoni della partita di cui però le scelte di inquadratura ci negano la visione. Il passaggio di livello fenomenologico suggerisce il raggiungimento di un altro livello di coscienza da parte del protagonista, ma l’individuare una soluzione che decodifichi quanto narrato è compito che rimane affidato in toto allo spettatore chiamato a svolgere un ruolo attivo.

Lascia un commento

qui