19 Novembre 2019 di Vanessa Avatar

Adolph De Meyer, (1868-1949) Cosmopolita e poliglotta, amante del buon vivere, era noto per le sue fotografie inimitabili. L’uso di un obiettivo difettoso faceva sì che nessuna parte dell’immagine fosse a fuoco. Primo fotografo di Vogue dal 1914 al 1921 e in seguito di Harper’s Bazaar fino al 1937 quando l’imporsi della fotografia modernista e dei regimi totalitari lo confinarono a Los Angels dove finì i suoi giorni ritraendo i divi cinematografici.

Barone Adolph De Meyer: capostipite della fotografia di moda

Una giovane sposa assorta sembra cercare risposte al futuro in una sfera di vetro. Un mazzetto di fiori d’arancio, un uso perfetto del controluce, del flou; la mano illuminata dal basso che richiama, per chi la conosce, quella dell’Annunciazione dipinta da Antonello da Messina nel XV secolo. Questa fotografia, come le altre realizzate da Adolph de Meyer per Vogue, segna l’inizio della storia della fotografia di moda. Non più ritratti di signore note dell’alta società, di attrici, di eleganti passanti, di ragazze mannequin, semplici indossatrici di un abito, ma la fotografia di moda che incontra quella di ricerca, la modella che si fa interprete di uno stile, lavorando in sintonia con il fotografo. Fortemente evocativo di uno stato d’animo, questo ritratto realizzato da De Meyer sarà la chiave di volta e capostipite della fotografia di moda come noi la intendiamo ancora oggi. L’abito non è più una veste indossata, ma uno stile di vita, la comunicazione verso l’esterno di ciò che siamo, che vorremmo apparire. Per De Meyer la donna è una visione, presente davanti a noi, eppure irraggiungibile, colei in cui ogni donna dovrebbe identificarsi per essere ammirata e quindi desiderata. Condé Nast, proprietario ed editore di Vogue, aveva individuato giustamente in Adolph De Meyer, personaggio ancor prima che fotografo, il prototipo del fotografo di moda, colui che sarebbe stato in grado di dare un modello ad un intero stile di vita

Dolores, 1921 – © Adolph de Meyer

 

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