Divisa e orecchini di perle. Non li lasciava mai a casa Dickey Chapelle (Georgette Louise Meyer) in qualunque parte del mondo la portasse il suo lavoro di fotoreporter di guerra. Nata il 14 marzo del 1919 a Milwaukee, in Wisconsin, fin da giovane fu appassionata di aerei, tanto da studiare design aeronautico al Massachusetts Institute of Technology. A New York conobbe il fotografo, e suo marito per quindici anni, Tony Chapelle, appassionandosi alla fotografia. Durante la Seconda guerra mondiale, Dickey Chapelle divenne corrispondente per il National Geographic, immortalando con i suoi scatti le battaglie di Iwo Jima e Okinawa e altri momenti cruciali degli scontri sul fronte del Pacifico. Da quel momento, e fino alla sua morte nel 1965, la fotoreporter sarà testimone di alcuni dei conflitti più sanguinosi della seconda metà del Novecento, dall’Algeria alla Repubblica Dominicana, dal Libano a Cuba, dal Laos all’Ungheria, dove sarà addirittura imprigionata per due mesi. Sempre in prima linea, Dickey Chapelle agì con passione e determinazione, abbattendo molti dei tabù della fotografia di guerra, da sempre considerata un “lavoro da uomini”. Il 4 novembre del 1965, durante un pattugliamento in Vietnam, fu raggiunta al collo da un frammento di shrapnel e morì dissanguata poco dopo. I suoi ultimi istanti di vita furono fissati su pellicola dal fotografo Henri Huet che immortalò il cappellano John McNamara intento a darle l’estrema benedizione. Dickey Chapelle fu la prima fotoreporter statunitense uccisa in azione.
Dickey Chapelle: oltre la testimonianza
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