24 Ottobre 2019 di Vanessa Avatar

Per anni è stato un mio forte desiderio conoscere di persona il grande fotografo milanese Gabriele Basilico. Mi era capitato di incrociarlo per qualche fugace stretta di mano in occasione di presentazioni e mostre. L’opportunità si è presentata dopo parecchi anni quando, con la produttrice Renata Tardani, abbiamo girato per una rete televisiva una serie di ritratti di fotografi italiani. Fra questi c’erano Mimmo Jodice, Francesco Radino, Vincenzo Castella, Gian Paolo Barbieri, Mario Cresci e altri, ma soprattutto sono potuta andare da Gabriele Basilico e proporre anche a lui un videoritratto e così conoscerlo. Per me, questi lavori sono stati un momento di conoscenza e di studio importantissimi perché, prima di girare, ho potuto frequentare questi artisti per alcuni mesi, per poter conoscere bene loro e le loro opere. Ho avuto il privilegio di capire il loro punto di vista sulla realtà e come l’umanità di un artista influisca sulla sua capacità di vedere.  Di immagini ne ho collezionate per anni. Credo che sia così che mi sono creata il gusto per la composizione e per i colori. La passione si è poi estesa ai libri di fotografia. Ne compravo di ogni tipo: da quelli con foto di scarpe a quelli di packaging giapponese, dall’arredamento olandese a quelli sulle campagne ungheresi. Nel 1983 – erano già quattro anni che lavoravo sui set – sono andata al Padiglione d’Arte Contemporanea a Milano e ho visto la mostra Milano. Ritratti di fabbriche di Gabriele Basilico. Da quel momento ho sempre seguito il suo lavoro. Le immagini della mia città mi hanno colpito al cuore perché ritraevano vecchie fabbriche, strade deserte tra palazzi uguali a quello dove vivevo io e le persone che conoscevo ma che pareva che a nessuno, oltre a me, interessassero.

Storia di un’amicizia con Gabriele Basilico

Mi piaceva quella sospensione dell’aria e della vita che quelle fotografie coglievano e in cui mi ritrovavo quando giravo a piedi per Milano. Diventato nel frattempo un caro amico , ho chiesto a Basilico  di lavorare con me al mio secondo lungometraggio dal titolo Come l’Ombra  (2006): un film che ho voluto realizzare in agosto a Milano, proprio per ritrovare quel senso di sospensione delle sue fotografie. Insieme abbiamo girato nelle periferie della mia infanzia, che Gabriele conosceva molto bene, alla ricerca delle ambientazioni ideali per le scene del film. Facevamo una crocetta col gesso bianco dove poi avrei posizionato la macchina da presa . I nostri film di riferimento, che abbiamo guardato più volte insieme, erano Il posto  (1961) di Olmi, La notte  (1961) di Antonioni, Questa è la mia vita  (1962) di Godard e un bellissimo film taiwanese Millennium Mamb o (2001) di Hou Hsiao-Hsien. A Gabriele piaceva venire sul set perché c’era tanta gente, forse perché lui quando lavorava era solo o al massimo con il suo assistente. E poi era molto colpito dal fatto che Sabina Bologna, la mia esile direttrice della fotografia, portasse dei pesi sproporzionati rispetto al suo fisico. Ogni tanto mi diceva: «Marina, il cinema è troppo complicato per me. Io non potrei mai». In verità si divertiva molto. Io, al contrario, pensavo e penso, che sia più difficile estrarre una sintesi della realtà attraverso una sola immagine. Come l’Ombra  è stato poi proiettato al Festival di Venezia e nei maggiori festival di cinema del mondo vincendo una ventina di premi.  Per il mio film successivo, Il mio domani  (2011), ho ritenuto interessante seguire un corso di autoritratto tenuto dalla fotografa Cristina Nuñez perché la protagonista, interpretata poi da Claudia Gerini, era una formatrice aziendale che nella storia, avrebbe dovuto frequentare un corso di autoritratto. In questa occasione è stato pubblicato un libro fotografico con i contributi di Gabriele Basilico, per la documentazione dei luoghi del film, e di Toni Thorimbert, per il set e i ritratti dei componenti della troupe. Nella serata inaugurale del Festival del Cinema di Roma, mentre sfilavamo sul tappeto rosso, ho visto l’amico Gabriele che mi salutava da dietro le transenne. Era lì per sostenermi perché per lui era importante la nostra amicizia, dimostrandomi ancora una volta la sua generosità. Sono più di sei anni che Gabriele Basilico non c’è più ma per me rimane un grande esempio e anche l’unica persona con cui sia mai entrata in un cinema con una vaschetta di gelato.
 
 
 
 
Di  Marina Spada

Lascia un commento

qui