7 Novembre 2019 di Vanessa Avatar

Irving Penn è uno dei fotografi statunitensi più conosciuti al mondo.
Le fotografie di Irving Penn raccontano di viaggi, incontri e ricerche antropologiche. Fotografie diversissime le une dalle altre, scatti da cui si sviluppano esplorazioni e temi cari al suo percorso investigativo. E poco importa se ci troviamo di fronte a una modella di Vogue, a un indigeno, a Pablo Picasso, a un mozzicone di sigaretta o a una voluttuosa natura morta, giacché il nucleo della ricerca personale è la grazia, l’innata delicatezza che l’uomo e gli oggetti recano in sé. Emerge così un altro aspetto interessante che fa di Irving Penn, oltre a un sensibilissimo fotografo, anche un grande filosofo, un umanista. Un intellettuale in grado di plasmare l’etica nella sua immagine, rivendicando la dignità di tutti gli esseri (umani, viventi e non) solo appellandosi alle loro qualità universalmente determinanti, cioè la loro unicità. Da questa ricerca di verità, dalla volontà di andare oltre la superficie delle cose e scongiurare una possibile cieca accettazione di mistificazioni sugli individui, Penn dissolve il loro environment culturale e sociale. Prende persone comuni e personaggi celebri come Truman Capote, Yves Saint Laurent, Marlene Dietrich e li mette all’angolo. Predilige sfondi monocromi sul bianco e sul grigio anche se si innamora a Parigi di una tenda da teatro con dipinte nubi grigie diffuse.

Irving Penn: soggetti devono essere il centro di tutto, perché sono l’alfa e l’omega della composizione

Ogni scenografia sullo sfondo viene meno perché i soggetti devono essere il centro di tutto, perché sono l’alfa e l’omega della composizione.
Questo suo modo di fotografare del tutto nuovo gli permetterà di lavorare, sin dagli anni Cinquanta, con clienti di tutto il mondo, tanto da considerare la fotografia su commissione una vera e propria opportunità per la messa a punto della sua ricerca personale. Tuttavia, incarichi privati a parte, come il collega Richard Avedon si impose all’attenzione della critica internazionale anzitutto come fotografo di moda, ma diversamente dal suo rivale, Penn si concentrerà primariamente sulla fotografia in studio. In quella stanza tutta per sé potrà scandagliare l’essenza delle persone, registrando ogni loro intima spontaneità. Irving Penn sin dal 1943, anno in cui realizzò la sua prima copertina per la rivista Vogue, suggerì una nuova immagine di donna, lontana da quelle fino ad allora proposta da fotografi della portata di De Meyer e Cecil Beaton, ovvero delle creature passive, esistenzialmente pigre ed adagiate in salotti eleganti, vestite delle creazioni eteree dei grandi couturier parigini. Fu proprio lui a combattere contro quel clima di austerità che la Seconda guerra mondiale aveva gettato sul mondo della moda. Durante il XX secolo, Irving Penn è stato uno dei massimi professionisti in almeno due dei generi più antichi e apprezzati: le nature morte e il ritratto. È davvero difficile che un artista riesca a eccellere in più ambiti per la difficoltà di sommare talenti e sensibilità diverse, quasi inconciliabili.
Perché, come ha notato lo studioso John Szarkowski, «se la natura morta è il genere in cui l’artista ha il massimo grado di controllo sul soggetto, il ritratto è quello in cui il controllo da parte dell’artista è più contrastato dalla volontà del soggetto stesso». Eppure lui è riuscito a trovare l’intima essenza in entrambi. Irving Penn grazie ai suoi sfondi evanescenti alla sua luce ottocentesca (pre Edison) poteva sembrare un sofisticato e capriccioso snob; eppure ha creato un nuovo vocabolario tecnico
che sarebbe rimasto in auge per almeno un altro quarto di secolo. E per quanto il fotografo del New Jersey avesse dichiarato in occasione di un simposio al MoMa che «il vero fotografo moderno lavora per l’editoria» e che «il prodotto finale dei suoi sforzi è la pagina stampata e non la stampa fotografica», con la sua cura e consapevolezza è stato uno dei massimi esempi ad avvalorare la tesi che vede la fotografia una forma d’arte alta e autonoma. Irving Penn è stato in grado con il suo obiettivo di narrare storie diverse, riuscendo a creare un filtro attraverso cui vedere tutte le cose del mondo. Un filtro, prima di tutto, emotivo, affettivo ed esistenziale. Proprio questa è la prima ragione per cui le foto colpiscono l’osservatore. I particolari dell’immagine risalgono a una nostra personale coscienza affettiva. L’etereo sfuma impercettibilmente nel chimerico, anche grazie alla capacità del platino di realizzare sottilissime distinzioni tonali. Irving Penn è passato alla storia per aver giocato con la luce in bilico sulla linea del tempo, regalandoci per sempre un eterno istante.

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