14 Giugno 2019 di Vanessa Avatar

La Grande Guerra non è stata solo una “inutile strage” come ebbe a definirla papa Benedetto XV nell’accorato appello rivolto alle nazioni belligeranti il 1 agosto 1917. E neppure la “sola igiene del mondo”, secondo la paradossale definizione che ne diede (ben prima del deflagrare del conflitto) Filippo Tommaso Marinetti nel “Manifesto del Futurismo”, pubblicato a Parigi il 20 febbraio 1909. La guerra 1914-1918 è stata anche la prima guerra delle immagini. La prima guerra fotografica. Il primo, immane scontro che si svolse su fronti numerosi, diversi e lontani fra di loro – il fronte occidentale, il fronte orientale, il fronte italiano, la guerra nel Caucaso, nell’Asia minore e nelle colonie del Nord Africa – e che su tutti questi fronti fu documentato da immagini fotografiche che raggiunsero i giornali e i periodici illustrati d’Europa e d’America. È nell’inferno di ghiaccio o di fango – a seconda delle stagioni – delle trincee che nasce una nuova figura, da quel momento in poi presente in tutti i conflitti nel mondo e indissolubilmente legata al giornalismo: il fotoreporter di guerra. Sulla strada aperta dal mitico Roger Fenton nella guerra di Crimea del 1855, si mossero i fotoreporter della nuova e assai più spaventosa avventura bellica. Ma in sessant’anni molte cose erano cambiate. La “settima arte” della cinematografia e della fotografia si era enormemente evoluta, consentendo riprese fino a pochi anni prima inimmaginabili. Lo spiega Alessandro Luigi Perna di History & Photography “dai tempi di Fenton la tecnica fotografica aveva compiuto passi da gigante. Già da trent’anni le nuove lastre consentivano tempi di lavorazione molto più rapidi rispetto a quelle precedenti che dovevano essere preparate prima e lavorate dopo un certo tempo. E poi agli inizi del Novecento nascono le prime pellicole e le prime fotocamere portatili. Il risultato è la fotografia moderna”. La Guerra Civile americana e la guerra di Crimea furono dunque le ultime guerre “statiche” dal punto di vista fotografico. Il nuovo conflitto europeo inaugura la fotografia “in movimento” consentita dalle fotocamere più maneggevoli e dai più rapidi tempi di esposizione. Il fotografo si muove al seguito degli eserciti: sono i primi “embedded” tra cui si distinguono i fotografi australiani inviati dagli alti gradi militari per realizzare album sulle truppe australiane impegnate in Egitto e contro la Turchia.

La guerra 1914-1918: il fotografo scatta documentando aspetti della guerra che prima di allora non avrebbero mai raggiunto il pubblico

Il fotografo scatta, scatta, documentando aspetti della guerra che prima di allora non avrebbero mai raggiunto il pubblico dei lettori civili. Anche l’organizzazione è già quella moderna: i fotografi sono per lo più freelance che lavorano per agenzie le quali distribuiscono a giornali e periodici le fotografie. Ai fotoreporter odierni li accomuna il coraggio: si spingono verso la linea del fuoco, talvolta ci lasciano la vita. Ma a differenza dei colleghi di oggi, i fotoreporter del ’14 – ‘18 non hanno la gratificazione del proprio nome pubblicato sotto le immagini, non li spinge l’ambizione della fama. Sono per lo più ignoti eroi dell’informazione e il vasto affresco che ci hanno lasciato in eredità è quasi del tutto anonimo.
Evitando una narrazione storico accademica del vasto e variegatissimo scenario di guerra, la maggior parte delle immagini scattate al fronte in quegli anni si rivela modernissima, mettendo in primo piano i comportamenti umani, le reazioni, le paure, gli eroismi fissati dall’obiettivo del fotografo. Alcune immagini sono ancora debitrici del pittoricismo ottocentesco, con ricorso al ritocco per rendere più tragiche le nubi o per far emergere meglio alcuni particolari paesaggistici. Altre, invece sono legate strettamente alle nuove grandi possibilità tecniche (maggiore sensibilità delle lastre) offerte dalla fotografia moderna. Insomma, per lo più l’occhio del fotografo è ormai spoglio di qualsiasi retorica e punta solo a testimoniare, con la massima sincerità. Molte immagini si contraddistinguono per uno stile che verrebbe da definire “espressionista” nel documentare le durissime situazioni, altre puntano sugli uomini come il commovente scatto che accomuna ufficiali britannici e tedeschi fotografati nella “terra di nessuno” in un punto del fronte occidentale durante la tregua non ufficiale del Natale 1914: sigarette in bocca, sguardi stanchi.
La fotografia non si limita a documentare massacri, distruzioni e stragi. L’immagine fotografica in quegli anni gioca un ruolo del tutto nuovo nella costruzione di miti popolari sia negativi che positivi. I ritratti fotografici di alcuni dei protagonisti della guerra ebbero una tale diffusione e un successo tanto grande da stabilire la popolarità (che dura a volte ancora oggi) di combattenti come il pilota tedesco barone Manfred von Richtofen, il famoso barone rosso, o dell’ufficiale inglese Thomas Edward Lawrence, Lawrence d’Arabia, ma anche di spie celebri come la olandese Margaretha Geertruida Zelle, in arte Mata Hari.

Lascia un commento

qui