3 Aprile 2019 di Vanessa Avatar

Gabriele Basilico è stato un autore metodico e prolifico, caratterizzato da uno stile facilmente riconoscibile nella tendenza che il critico Arturo Carlo Quintavalle sintetizzò con la formula di fotografia analitico-descrittiva. Il fotografo milanese, architetto per formazione, ha realizzato nel corso della sua attività professionale un corpus imponente di fotografie di paesaggi, prevalentemente urbani, ma non solo, ripresi in molte città e luoghi d’Italia e del mondo.
Questo intenso lavoro ha dato luogo a una altrettanto intensa attività editoriale che si è concretizzata in una mole ragguardevole di volumi: tra questi uno dei primi fu quello che lo portò alla ribalta della fotografia italiana prima e di quella internazionale poi, il famoso Milano. Ritratti di fabbriche (1978-1980), con il quale impose il suo rigoroso stile geometrico in bianconero. In quel volume, importante per la fotografia di paesaggio italiana degli ultimi decenni, Basilico descriveva il panorama industriale di Milano, una città considerata ancora città-fabbrica ma che stava invece già trasformandosi in città del terziario. Ma non è di questo volume, già fin troppo noto, che intendiamo parlare, bensì di un altro suo libro, meno conosciuto e dal titolo simile.

Gabriele Basilico, Esplorazioni di fabbriche. Percorsi nell’archeologia industriale di Biella

Esplorazioni di fabbriche. Percorsi nell’archeologia industriale di Biella, realizzato dieci anni dopo, nel 1989, con scopi e modalità diverse, ma che ribadiva il suo stile ormai consolidato. Il volume è certamente raro perché fu stampato in edizione limitata di 500 copie, ma è anche interessante perché propose agli appassionati una formula allora ancora poco praticata nell’editoria fotografica italiana: quella di un raffinato contenitore in forma di scatola, delle dimensioni di un largo volume, in cui vennero raccolte le stampe singole, in fogli sciolti, delle opere in mostra. Questa scelta, che può sembrare poco pratica rispetto alla semplicità dello sfogliare un volume rilegato, offre però, agli appassionati più esigenti, ma non solo a loro, la possibilità di ammirare, e possedere, stampe tipografiche di elevata qualità, su cartoncino molto più pesante rispetto alla carta usata normalmente nei libri tradizionali e quindi più resistente a pieghe e ammaccamenti vari. Non a caso le dodici illustrazioni di questo atipico volume sono chiamate Tavole, accompagnate da altrettante tavole di testi di presentazione e di studio. Per quanto riguarda il contenuto, le fotografie illustrano la situazione, in quegli anni, delle industrie della piccola e laboriosa città piemontese, nota soprattutto per la lavorazione dei filati e che nell’Ottocento fu denominata la Manchester italiana perché fu la prima città del nostro Paese a introdurre le macchine moderne di produzione. Ma quando Basilico realizza le fotografie, alla fine degli anni Ottanta, gli stabilimenti in questione sono diventati ormai archeologia industriale, luoghi spesso abbandonati, sopraffatti dai nuovissimi e più attuali modi di produzione e di dislocazione della stessa. Le fotografie di Basilico sulle fabbriche di Biella sono in assoluta sintonia con il suo stile più noto, basato su vedute in bianconero a carattere descrittivo secondo una modalità di fotografia realistica ma con un sapore quasi metafisico, accentuato dall’assenza di persone nell’inquadratura. Il manufatto urbanistico e il paesaggio che lo circonda, ripresi nella loro essenza, sono i protagonisti di queste sue foto dove la presenza umana è soltanto suggerita da pochi elementi di antropizzazione moderna come, quando è proprio inevitabile, la presenza di qualche automobile. Sarebbe interessante oggi, se qualcuno non lo ha già fatto, ritornare su quei luoghi fotografati da Basilico un quarto di secolo fa e documentarne i cambiamenti con quello sguardo attento e riflessivo che forse solo la fotografia può donare.
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