6 Settembre 2019 di Redazione Redazione

Una fotografia esente da qualunque indagine scandalistica. Lisetta Carmi ha sempre palesato il suo unico intento: la ricerca dell’essenza propria e altrui.

Lisetta Carmi è stata fotografa e concertista. Si è dedicata alla pittura, alla scrittura cinese, alla meditazione, ma soprattutto alla vita. Nel suo film presentato alla mostra del Cinema di Venezia del 2010, il regista Daniele Segre la definisce “un’anima in cammino”.

Classe 1924, genovese, Lisetta Carmi nasce in una famiglia di origini ebraiche. Nel 1943, poco dopo la promulgazione delle leggi razziali, è costretta a fuggire in Svizzera dove porta con sé lo spartito del Clavicembalo ben temperato di Bach e la speranza di rientrare nel suo Paese. La sua tecnica è impeccabile e il suo tocco rivela il talento di un animo vigile.

Negli anni che seguono, il sentimento di vicinanza al popolo ebraico si manifesta nella volontà di conoscere Israele, dove si reca più volte anche grazie alla musica. Gli applausi per la giovane pianista echeggiano abbondanti a Tel Aviv, ma la terra tanto bramata si rivela contraddittoria. Dopo un viaggio in Puglia alla scoperta delle comunità ebraiche autoctone, nel 1960 lascia la musica per la fotografia e prende forma il suo percorso esistenziale e lavorativo multiforme.

Lisetta Carmi: l’artista utilizza la macchina fotografica, la preghiera, la meditazione e la pittura per rinnovare la propria visione in divenire del mondo

L’artista utilizza la macchina fotografica, la preghiera, la meditazione e la pittura per rinnovare la propria visione in divenire del mondo e per cogliere la verità degli uomini e degli umili, a cui si sente sempre profondamente vicina. Nel ventennio fotografico in cui opera, l’Italia e il mondo assistono a una parabola artistica notevolmente pregna di eventi. Il MOMA ha già presentato New Documents, Magnum Photos si arricchisce di grandi nomi, Giacomelli a Senigallia ha già realizzato Verrà la morte e avrà i tuoi occhi e Non ho mani che mi accarezzino il volto.

Berengo Gardin e Carla Cerati, in pieno periodo Basaglia, propongono il loro Morire di classe e l’agenzia italiana Grazia Neri lavora con nomi di grande rilievo. La stagione d’oro del fotogiornalismo pullula tra le pagine delle riviste internazionali.

In un quadro fatto di esperienze così composite, Lisetta Carmi non può definirsi solo come infaticabile freelance. A muoverla, infatti, è un’incessante voglia di scoperta di tutto ciò che è, di tutto ciò che vibra. Per vent’anni, con la Leica avuta in regalo dal padre, si dedica totalmente alla scoperta degli altri: le sue scarpe si sporcano nei basurero venezuelani e il suo cuore si ferma nel vecchio ghetto ebraico di Genova tra le appassionate cantate di De André in via del Campo.

Lontani dallo spirito reportagistico di quegli anni, gli scatti della fotografa genovese restituiscono un senso di compiuta indagine personale intrisa di un sentimento analitico più intimo, che con la cronaca puramente giornalistica non ha nulla a che vedere. Tra i suoi lavori più celebri, si ricordano i portuali di Genova del 1965, un quadro di volti piegati dal sole accecante e illuminati da una fatica quasi diafana, Ezra Pound a Sant’Ambrogio di Rapallo nel 1966 ripreso in tutta la solitudine e la drammatica grandezza del poeta, i viaggi in America Latina, il Venezuela, la Colombia e il Messico e poi l’Oriente dove, nel 1976, incontra Babaji Herakhan Baba. Il maestro spirituale la ribattezza Janki Rani e diventa il soggetto fotografico prediletto da Lisetta Carmi.

Nel 1980, l’autrice abbandona definitivamente la fotografia. Da quel momento, per diciotto anni, guida la Fondazione Bhole Babadi Cisternino (BR) su volere di Babaji. Negli anni Novanta è a Milano, collabora con Paolo Ferrari e il suo Centro Studi Assenza e ritrova la musica. Nella sua quinta vita, quella che lei stessa definisce dell’assoluta libertà, Lisetta Carmi coltiva e difende il proprio silenzio

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