23 Ottobre 2019 di Vanessa Avatar

Ogni anno, dalla sua fondazione nel 1947 a oggi, avviene l’AGM di Magnum Photos, l’unica opportunità per i fotografi viventi, gli estates dei fotografi deceduti e lo staff di riunirsi e confrontarsi sulle attività e sui destini della più originale e prestigiosa agenzia fotografica al mondo. Momento chiave di ogni AGM è il voto sui nuovi candidati e sul cambiamento di statuto dei fotografi da nominee ad associate e infine, dopo un lungo iter di almeno 4 anni, a member. Il meeting del 2019 ha riconosciuto tre fotografi quali membri a pieno titolo: l’iraniana Newsha Tavakolian insieme agli americani Matt Black e Carolyn Drake. A questi si affiancano due candidati come membri associati, la spagnola Cristina de Middel e l’albanese Enri Canaj, e due nuovi candidati accolti dal collettivo, la tedesca Nanna Heitmann e il tunisino Zied Ben Romdhane.

Magnum Photos

Organizzato quest’anno al Barbican Centre di Londra, l’AGM si è svolto a margine di una settimana di intensa programmazione culturale. Decisamente interessante il simposio Il medium è il messaggio che ha visto fotografi di Magnum e relatori esterni, tra cui il giornalista Job Rabkin e il curatore e storico culturale Mark Sealy, confrontarsi sui temi cruciali che definiscono oggi l’identità del collettivo: autenticità e verità, fotografia umanistica, produzione, tecnologia e digitale, paternità e creatività. I nuovi volti di Magnum incarnano bene l’anima dell’agenzia e sono due voci molto distinte nel panorama della fotografia contemporanea. Classe 1994, finalista dell’edizione 2019 del premio Leica Oskar Barnack, per Nanna Heitmann la fotografia è pretesto per immergersi nell’universo di altre persone ed esplorare le loro vite. La giovane autrice russo-tedesca ha collaborato con le maggiori testate giornalistiche come TIME Magazine, New York Times, M di Le Monde, De Volkskrant, Stern, Die Zeit, e ha ricevuto importanti premi e menzioni speciali, tra cui la Reuters Grant, il Vogue Italia Prize, il PH Museum women photographers grant e il World Report Award. Hiding from Baba Yaga è il titolo del suo intimo lavoro sulla spiritualità in Siberia, un viaggio visivo e poetico lungo il fiume Enisej che scorre per oltre 3.400 chilometri attraverso l’aspro deserto della taiga siberiana, dal confine a Nord con la Mongolia fino al Mar Glaciale Artico. Attraverso immagini
oniriche che si rifanno a pittori russi come Ivan Bilibin e Michail Nesterov, Nanna racconta la vita lungo il fiume, in una regione ricca di riti e antichi miti, dove da tempo immemorabile
gli uomini si rifugiano per cercare libertà e protezione. Il titolo ricorda la leggenda di Baba Jaga, una pericolosa strega della mitologia slava che vive in una capanna sopraelevata su due zampe di gallina e che rapisce la giovane Vasilisa la Bella. Aiutata da un gatto nero, Vasilisa riesce a fuggire e, mentre scappa inseguita dalla strega, lascia cadere dietro di sé un asciugamano e un pettine; dall’asciugamano emerge un fiume profondo e largo e dal pettine una foresta così fitta e impenetrabile che costringe la malvagia Baba Jaga a fermarsi. «Come la giovane fanciulla di questa favola – spiega Nanna – così nel corso della storia molte persone hanno cercato protezione dal fiume Enisej e dai suoi boschi, individui che sono scappati da zar e sovietici, cosacchi, schiavi, apostati o semplicemente avventurieri che hanno trovato in questa regione la possibilità di vivere in libertà». Mentre le persone sono oggi attratte dalle metropoli come Mosca o San Pietroburgo, o da luoghi con un clima meno rigido, l’Enisej si sta trasformando sempre di più in un eremo per sognatori e solitari. Qui è il rifugio di personaggi come Yuri, che vive in una capanna in una discarica insieme ai suoi 15 cani; Valentin, un ecologista anarchico ed ex-ufficiale traumatizzato dalle missioni di guerra che trova
pace dormendo in natura, anche a -50°; Vasilisa, figlia di genitori sordi, che può incontrare il suo unico amico solo durante l’estate, quando è più facile raggiungersi. Non appena saranno riuniti, faranno una passeggiata per il villaggio e si terranno per mano tutto il giorno.

Magnum Photos e Zied Ben Romdhane

Nato nel 1981, Zied Ben Romdhane è il primo fotografo tunisino a entrare in Magnum. Il suo lavoro privilegia come terreno d’indagine il cambiamento e i contrasti della sua terra natale. I suoi reportage sono stati esposti al MUCEM di Marsiglia, al Houston Center for Photography e alla Biennale della fotografia di Bamako. Importanti riconoscimenti includono il 6X6 Global Talent Program 2018 promosso da World Press Photo e il premio POPCAP del Festival Africa Image di Basilea nel 2015. Zied scopre la fotografia attraverso lo studio fotografico commerciale di suo zio, nel nord-ovest della Tunisia. Nel 2011, dopo la Rivoluzione dei Gelsomini, decide di dedicarsi alla fotografia documentaria. Waiting Zone, il suo primo progetto, documenta la vita di un campo profughi libici in Tunisia, dando voce al sentimento di incertezza in cui vivono i rifugiati in attesa di un qualsiasi futuro. Il suo primo libro West of Life (Red Hook Editions, 2017) è il risultato di un lungo lavoro iniziato nel 2014, grazie al supporto di The Arab Documentary Photography Program. Il progetto è un ritratto della regione mineraria di Gafsa, a 369 km da Tunisi nel sud-ovest del Paese, uno dei maggiori centri al mondo dell’industria estrattiva. Mentre la prosperità evolve lungo la costa a est, West of Life racconta l’emarginazione, il paesaggio inospitale e la difficile vita quotidiana in paesi ricchi di risorse, ma poveri e inquinati, spesso al centro di scioperi e conflitti dovuti alle cattive condizioni e ai salari miseri. I ritratti, i paesaggi e le nature morte in bianco e nero di Zied Ben Romdhane si tingono di umorismo, poesia e malinconia.
Di Ludovica Pellegatta

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