19 Novembre 2019 di Vanessa Avatar

Paolo Monti, visionario e poetico, ma anche razionale e analitico. Aspetti contrapposti di una delle figure più influenti della fotografia italiana del Novecento.
Intellettuale borghese e colto, ha vissuto sulla sua pelle la lunga e complessa definizione dell’identità della fotografia in Italia, passando dall’esperienza amatoriale a quella professionale e alimentando il dibattito sulla fotografia come forma d’arte e di divulgazione. La passione per la fotografia, ereditata da suo padre, diventa per lui un impegno più costante e proficuo nell’Italia repubblicana, quando la censura del Ventennio fascista è ormai un cupo ricordo e la nuova cultura di massa investe uomini e idee, rivoluzionando i mezzi e i linguaggi della comunicazione e dell’espressione. Negli anni Quaranta si stabilisce a Venezia per lavorare come dirigente d’azienda. Qui trova un clima culturale e artistico assai fecondo animato dal fermento delle avanguardie, sempre più presenti alle Biennali dell’Arte, e dai molti luoghi di ritrovo per intellettuali e uomini di cultura presenti nella città. In questo ambiente così vivace incontra alcuni appassionati fotoamatori con cui nel 1947 fonda il Circolo  Fotografico “La Gondola”. Lo presiede fino al 1953, quando lascia il lavoro in laguna e si trasferisce a Milano per intraprendere la carriera di fotografo professionista. Il mondo dei circoli è per lui troppo isolato dal contesto culturale e artistico e, inoltre, vuole dare uno statuto ufficiale a quella che è ormai diventata la sua dimensione di vita. Quando compie il grande passo Monti ha quarantacinque anni. Egli non è attratto dal reportage o dall’istantanea, per lui troppo aggressivi e poco obiettivi, e neppure dalla fotografia di moda, colpevole di mostrare la donna come mero “oggetto di lusso”. A interessarlo sono, invece, la ripresa più riflessiva e rispettosa del territorio, l’architettura e il design che pratica su commissione di enti pubblici e privati e case editrici. Parallelamente indaga il rapporto della fotografia con la pittura, ne approfondisce la natura cangiante di forma d’arte e documento e porta avanti una complessa ricerca sul tempo e sulla sua azione corrosiva sulla materia, dai muri scrostati di Venezia alle sperimentazioni off camera. Nonostante questo aspetto immaginifico della sua ricerca visiva, non rinuncia al rigore del metodo e all’analisi del linguaggio visuale. Inoltre amplia la sua esperienza insegnando all’Umanitaria a Milano e all’Università di Bologna. Monti ha praticato, studiato e divulgato la fotografia con tutti i mezzi disponibili. È stato soprattutto un pioniere nel sostenere l’idea della fotografia come forma di conoscenza e nell’avanzare la necessità della sua integrazione nella storia della cultura e della comunicazione.

Immagine in evidenza

Dalla serie Manifesti strappati,  Italia 1970

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