25 Ottobre 2019 di Vanessa Avatar

Stefano Guindani, una carriera dal teatro alla danza, dalla moda alle celebrities, passando per lo sport e la cronaca. È un fotografo di moda con l’amore per il reportage umanitario da Haiti all’Operazione Mare Nostrum in cui ha documentato la missione della Marina Militare Italiana che ha accolto e dato soccorso a oltre 60.000 migranti a Lampedusa. Tra gli ultimi suoi lavori si distingue il volume Do you know? realizzato in Sud America in occasione dei sessant’anni dell’organizzazione internazionale N.P.H. Nuestros Pequenos Hermanos che dal 1954 accoglie nelle sue case i bambini orfani o abbandonati.

Intervista a Stefano Guindani

Ha spaziato in moltissimi settori, ci può raccontare la sua carriera? «Ho cominciato realizzando fotografie di scena a teatro – ero a Cremona –, poi mi sono specializzato nella danza. Andava abbastanza bene e, nonostante Cremona fosse una piccola realtà, tutte le produzioni che passavano in città richiedevano la mia collaborazione. Le foto piacevano. A livello economico, però, la fotografia di danza non era così remunerativa. Il punto di svolta fu la conoscenza di Giulio Bosetti, un grande attore di teatro, il quale, riconoscendo il mio talento e concedendomi in affitto un suo appartamento, mi permise di affacciarmi al panorama milanese. Cominciai a collaborare con l’agenzia Olympia, in seguito Olycom, nella quale rimasi per sette anni. Poi, vent’anni fa, decisi di aprire la mia agenzia, sempre a Milano, specializzandomi principalmente nel mondo della moda e degli eventi. Fu una decisione in controtendenza. Quando tutti lavoravano per i giornali, la nostra agenzia fu la prima, tra le fotogiornalistiche, a interagire direttamente con le aziende. Forse c’era qualche fotografo che già singolarmente lo faceva, ma non esisteva nessuna realtà strutturata come la nostra e questo ha fatto scuola. In tanti hanno poi adottato il nostro modello che credo sia l’unico in grado di permettere a un’agenzia fotografica di sopravvivere con la crisi dell’editoria che c’è stata. Siamo stati i primi a vendere le foto dei red carpet alle aziende quando i giornali non avevano più budget per acquistarle e ancora oggi cerchiamo sempre di avere idee innovative. Con l’avvento dei competitor che praticano una vendita di immagini a bassissimo costo – mi piace chiamarli “i supermercati della fotografia” –, i prezzi sono scesi notevolmente, costringendo tutti i fotografi a perdite economiche significative».
Di cosa si occupa in agenzia? «La fortuna di avere dei collaboratori molto validi che lavorano con me da molti anni, mi permette di allontanarmi un po’ dal mondo della moda, che comunque rimane una grande passione, per seguire vari progetti, anche senza scopo di lucro come, per esempio, il reportage sociale in Centro America. Un altro bellissimo progetto del quale mi sono occupato tra febbraio e marzo di quest’anno è stato quello relativo alla collaborazione tra Banca Generali e FAI per le Giornate di Primavera 2019, per le quali sono stato chiamato a reinterpretare otto meravigliosi beni italiani. Mi piace molto anche il settore automotive nel quale ho cercato di portare il mio linguaggio. L’obiettivo è di rendere la fotografia una sorta di reportage di ciò che accade in un evento così come in una casa automobilistica, provando sempre a raccontare una storia. Ormai lo faccio da così tanti anni che spesso conosco tutti gli interlocutori e riesco a trasmettere loro empatia e sicurezza».
Quali sono i segreti del successo della sua agenzia? «Ci vuole un po’ di fortuna, molta serietà e molta voglia di lavorare per tante ore al giorno. Tengo un corso all’interno della Condé Nast Academy che ha l’obiettivo di formare nuovi influencer e durante le mie lezioni, relative alla parte fotografica e video, ripeto ai ragazzi che alla meta non si arriva mai per caso. Qualunque sia la specializzazione scelta, non si riuscirà a emergere se non si dedicano una media di 10-15 ore al giorno. Questa professione è fatta di pubbliche relazioni, esperimenti, studio, prove e di tanti altri elementi che costruiscono una carriera e quello che si semina oggi si raccoglierà domani, nel bene e nel male. Una volta un grande imprenditore italiano mi disse che il tempo è galantuomo e credo sia assolutamente vero. Vi racconto un aneddoto: qualche anno fa mi trovavo a un evento con diverse superstar hollywoodiane. Justin Bieber, che aveva circa 17 anni ed era nel pieno del successo, arrivò con mezz’ora di ritardo e vidi il suo manager sgridarlo severamente e obbligarlo a girare tra tutti i tavoli per scusarsi. Non è con la presunzione che si raggiunge l’obiettivo, non ho mai conosciuto nessuno che sia arrivato al successo senza aver lavorato sodo».
L’articolo completo sul numero 314 de Il Fotografo, disponibile online cliccando qui 

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