4 Giugno 2019 di Vanessa Avatar

«Certo che quando ho visto la mostra dei pop alla Biennale io non ho voluto perdere il colpo; ho sentito che quella era la mia occasione. Sono partito per New York e qui come un’astronauta sulla Luna e senza sapere l’Inglese ho incontrato Leo Castelli, che mi ha aiutato molto dandomi fiducia presentandomi ai giovani artisti. Fotografare una cosa nel momento in cui capita, vuol dire essere testimoni di un fatto che è destinato a durare nel tempo, vuol dire approntare del materiale: più che foto di quadri e di arte, fotografie di interni, di studi, di case, di gallerie di mercanti, che saranno preziosissime per capire quei momenti» Conversazione con A.C. Quintavalle,1973

L’ ’interesse di Mulas per l’arte contemporanea era cominciato molto prima, quando un camion notturno che portava l’Unità  a Venezia, accompagnò i bohémien milanesi Mario Dondero e Ugo Mulas alla Biennale del 1954. Tutte le manifestazioni che seguirono lo videro presenza sensibile e attenta fino alla sua morte prematura nel 1973. La Biennale che però lo colpì maggiormente fu quella del 1964, che vide sbarcare la Pop Art  in laguna e premiò Rauschenberg come miglior artista straniero. L’incontro e l’amicizia con Alan Solomon curatore del Padiglione Americano gli permisero di recarsi a New York già nell’autunno del 1964. Mulas tornò ancora nell’autunno del 1965 e del 1967, per completare la realizzazione di questo fotolibro lungamente meditato. Come già aveva fatto Hans Namuth nel documentare l’action painting di Jackson Pollock, Mulas è consapevole che la ripresa fotografica dell’opera d’arte nel suo farsi, diventa sempre più importante per la sua comprensione. Quindi, niente istante decisivo bressoniano e ritratto dell’artista davanti alla sua opera, ma una sequenza che illustri il corpo a corpo mentale e fisico dell’artista con il suo lavoro, individuando una chiave critica e interpretativa in una nuova funzione linguistica e narrativa per la fotografia. Ma oltre alla documentazione, diventa determinante fotografare i presupposti, del fare come del non fare, della concentrazione, dell’attesa, della preparazione e dei rituali, cioè l’operazione mentale e concettuale che porta alla realizzazione dell’opera. Rivelatrice di questo approccio, l’impaginazione delle oltre cinquecento fotografie – insieme a Michele Provinciali –, tesa a rendere al meglio le atmosfere, gli atteggiamenti mentali e fisici, le abitudini e i metodi di lavoro degli artisti. L’incontro ravvicinato con personalità così diverse, da Duchamp a Warhol, ma tutte sulla stessa scena creativa, che si incontravano alle feste nei loft, è per Mulas anche il modo di confrontarsi con la loro disincantata poetica e rinnovare il proprio punto di vista e la propria pratica fotografica. Importante è poi la scoperta, a casa di Jim Dine, di un autoritratto rivelatore di Lee Friedlander, a cui Mulas dedicherà un suo autoritratto nelle Verifiche . Insomma, un’esperienza che lo condurrà all’elaborazione critica e concettuale descritta nel radicale punto di svolta de La Fotografia (1973): svelamento visivo dell’operazione artistica e ricerca del proprio senso di essere fotografo. Considerato un capolavoro dei libri sull’arte del Novecento, New York: Arte e persone  rimane un fotolibro di riferimento. Molto ricercato nelle diverse edizioni, raggiunge quotazioni tra i 1.000 e i 1.300 euro.

Lascia un commento

qui