17 Marzo 2019 di Vanessa Avatar

Oltre che straordinario fotografo, Werner Bischof è stato anche un personaggio di grande spessore umano e culturale, dedito alla sua professione, ma non per questo estraneo alla riflessione critica sulla stessa. Nelle lettere che ci sono rimaste, soprattutto in quelle alla moglie Rosellina Mandel, parlava spesso con tono critico del sistema dell’informazione di cui peraltro lui stesso faceva parte.Uno dei punti cardine che si riscontra nelle sue riflessioni era il rapporto con l’editoria, o meglio con il modello politico-economico-sociale che questa esprimeva. Nel 1952, mentre era in Corea, scriveva infatti: «È difficile scattare fotografie in un campo di prigionia, rimanere umano e poi scoprire che le foto migliori sono state scartate». E ancora nello stesso anno, durante una pausa di lavoro in Indocina, dove stava realizzando un reportage per Paris Match, riprendeva con ancora più forza l’argomento: «Ne ho avuto abbastanza: questa caccia alla storia è diventata difficile da reggere – non fisicamente, ma mentalmente. Ormai il lavoro non mi dà più la gioia della scoperta: qui quello che conta più di qualunque altra cosa è il valore materiale, il fare soldi, fabbricare storie per rendere le cose interessanti. Detesto questo genere di commercio di sensazioni… È stato come prostituirsi, ma ora basta. Dentro di me io sono ancora – e sarò sempre – un artista». Del resto non si trattava certo di una novità nel suo pensiero e nel suo rapportarsi alla professione, dal momento che già qualche anno prima, nel 1947, in una lettera scriveva rivolgendosi al padre: «Tu non capisci una cosa caro papà, cioè che io faccio questi viaggi non per il
desiderio di nuove sensazioni, ma per un cambiamento completo della mia personalità». Una visione della fotografia e della vita, quella di Bischof, probabilmente un po’ romantica, di sicuro quasi sempre ignorata al giorno d’oggi. Ma anche un insegnamento che forse i fotografi contemporanei varrebbe la pena che prendessero in considerazione, e non solo nella professione.

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