6 Giugno 2020 di Redazione Redazione

In questa nuova lezione sui profili colore, l’Ambassador EIZO Marco Olivotto cerca di fare un po’ di chiarezza tra sRGB, Adobe RGB, ProPhoto RGB e altre enigmatiche sigle…

Proseguiamo il discorso sui profili colore iniziato la settimana scorsa. Ci eravamo lasciati discutendo della “caratterizzazione” del nostro monitor, operazione che consente di creare un profilo ICC utilizzato dal sistema CMS per “compensare” le differenze tonali e cromatiche tra dispositivi di visualizzazione diversi.

Il valore del profilo ICC

Un monitor, come qualsiasi dispositivo “fisico”, ha caratteristiche che possono variare nel tempo: nel lungo periodo,  a causa dell’obsolescenza, il pannello può ingiallirsi; nel medio-breve periodo, a causa di vari fattori, potrebbe avere oscillazioni di comportamento tra una sessione e l’altra. Diversi monitor cambiano addirittura aspetto nell’arco di qualche minuto da quando vengono accesi, a causa del riscaldamento dei componenti! Per questo motivo, il profilo ICC del nostro monitor andrebbe ricalcolato  e rivalutato periodicamente: magari non ogni giorno, come sostengono alcuni “desperados” dell’accuratezza cromatica, ma – più realisticamente – dopo 100-200 ore di utilizzo effettivo dello schermo. Questo ha un’implicazione importante: il profilo ICC di un monitor realizzato oggi avrà poco significato tra un anno, perché descrive la performance volatile di un dispositivo potenzialmente instabile. Aspettarsi che un profilo ICC possa essere valido dopo un tempo abbastanza lungo è irrealistico quanto pensare che domattina ciò che vedremo dalla finestra sarà identico a ciò che vediamo oggi: lo scenario sarà lo stesso, i dettagli no!

Se un profilo ICC descrive uno spazio colore, permettendoci di interpretare una terna RGB in maniera corretta, possiamo pensarlo come il dizionario minimo necessario a tradurre un colore in modo che esso possa essere rappresentato correttamente su un dispositivo. Il profilo, però, è un dizionario soggetto ad aggiornamenti, aggiustamenti e variazioni talvolta importanti, e il fatto che ogni dispositivo abbia il proprio rende questo scenario assai simile a quello della Torre di Babele, dove la comunicazione era impossibile a causa del fatto che ciascuno parlava una lingua diversa.

Gli spazi colore standard

Per ovviare a questo problema sono stati creati i cosiddetti “spazi colore standard”, definiti da profili ICC particolari. Sono spazi colore anomali, perché non descrivono alcun dispositivo reale: vengono costruiti a tavolino, talvolta basandosi sulla media degli spazi colore di dispositivi simili ma diversi, talvolta da zero, impostando parametri puramente virtuali ma adatti a ottenere un certo risultato. Sono spazi colore importantissimi, perché rappresentano un linguaggio comune in cui i numeri, se interpretati correttamente, hanno un significato preciso e univoco. Inoltre, lavorare su immagini codificate contenenti profili colore che descrivono un monitor o altri dispositivi ha delle controindicazioni non da poco. L’utilizzo degli spazi colore standard non è solo opportuno, ma di fatto necessario. Lo spazio colore standard più noto è denominato sRGB IEC61922-2.1 – abbreviato in sRGB. Venne creato da Hewlett-Packard e Microsoft nel 1996 al fine di descrivere il comportamento medio dei monitor dell’epoca. Dopo venticinque anni, la tecnologia è molto cambiata, ma molti display hanno ancora uno spazio colore assimilabile a quello descritto da sRGB. Per “assimilabile” intendiamo semplicemente che il loro spazio colore non differisce in maniera sproporzionata da sRGB.

Figura 2 – Il triangolo tratteggiato in bianco in questo diagramma di cromaticità mostra le differenze tra lo spazio colore sRGB di riferimento e quello di uno dei nostri monitor “per tutti gli usi”, a sua volta incapace di coprire il più ampio Adobe RGB.

La figura 2 rappresenta l’estensione di sRGB (triangolo nero interno) comparata con quella dello spazio colore di uno dei monitor che si trovano nel nostro studio (triangolo bianco tratteggiato): i due triangoli non sono identici, ma sono ragionevolmente simili. Il monitor, peraltro, ha uno spazio colore del tutto diverso da Adobe RGB (triangolo nero esterno), un altro spazio colore standard – più esteso di sRGB – del quale parleremo tra poco. In senso stretto, il nostro monitor non potrà mai essere “sRGB”, ma è lecito affermare che l’estensione del suo spazio colore è assai simile a quella di sRGB. In generale, nessun dispositivo può avere letteralmente sRGB come spazio colore, perché quest’ultimo nasce a tavolino; ma molti dispositivi ci si avvicinano. Per questo talvolta si afferma, impropriamente, che un certo display “è sRGB”.

Dal monitor alla stampa

sRGB ha un problema non secondario relativo alla stampa offset, che si basa sulla tecnica denominata “quadricromia” e utilizza quattro inchiostri: ciano, magenta, giallo e nero – ossia il ben noto sistema denominato CMYK. All’epoca della creazione di RGB, la stampa era predominante rispetto al Web, ed era auspicabile che il colore degli inchiostri primari di quadricromia (ciano, magenta e giallo in particolare) ricadesse all’interno dello spazio colore RGB standard utilizzato per visualizzare le immagini su uno schermo. sRGB purtroppo non rispondeva a questi requisiti. Il problema si manifestava in particolare per quanto riguardava il colore dell’inchiostro ciano: il colore definito in CMYK da una copertura di ciano pari al 100% non è rappresentabile in sRGB.

Figura 3 – Il campione a sinistra ha un aspetto totalmente diverso in CMYK, ma quel colore non è rappresentabile in sRGB né è visualizzabile su un monitor standard.

Questo significa che un display standard, il cui spazio colore sia assimilabile a sRGB, non è in grado di riprodurre il massimo ciano ottenibile in stampa. Di conseguenza, non è possibile ottenere una simulazione di stampa accurata a monitor nel caso che quel colore sia presente in una fotografia o un’illustrazione – e lo stesso vale per diversi altri colori stampabili in offset ma non rappresentabili su un monitor “normale”. Tanto per complicare le cose, va detto che è vero anche il contrario: moltissimi colori disponibili in sRGB non sono stampabili.

Figura 4 – Qui a confronto lo spazio colore sRGB con quello relativo alla stampa offset su carta patinata secondo lo standard ISO vigente in Europa.

La figura 4 mette a confronto sRGB con lo spazio colore che caratterizza la stampa offset su carta patinata secondo lo standard ISO vigente in Europa. Il volume a colori è quello disponibile in stampa, quello delimitato dalle linee bianche è sRGB. Si notano chiaramente i colori che cadono fuori da sRGB, nonché quelli che appartengono a sRGB ma non sono stampabili.

Adobe RGB è bello

Per ovviare all’inconveniente, nel 1998 Adobe realizzò uno spazio colore standard denominato Adobe RGB. L’implementazione purtroppo non fu delle migliori: a causa di un errore, il colore definito da 100C non rientrava in Adobe RGB – benché la situazione fosse di gran lunga migliore che nel caso di sRGBI pannelli dei monitor di alta fascia, oggi, riescono a coprire quasi tutto lo spazio colore Adobe RGB, che è decisamente più esteso rispetto a sRGB (ancora figura 2). In particolare, mette a disposizione tinte verdi che in sRGB non si possono ottenere. Non solo: in alcuni casi questi pannelli riescono a spingersi oltre i limiti di Adobe RGB e coprire l’estensione necessaria a simulare la stampa in CMYK: un monitor come l’EIZO CG319X è certificato da FOGRA come monitor di classe A per quanto riguarda la simulazione delle prove colore a schermo. In parole povere, può sostituire le prove colore su carta previa opportune impostazioni mirate a quell’utilizzo.

Il terzo incomodo… è scomodo

Esiste un terzo spazio colore standard, ProPhoto RGB, diffuso soprattutto tra i fotografi. Fu creato da Kodak per ovviare ai limiti insiti in sRGB e Adobe RGB. La sua estensione è enorme, rispetto agli altri due, e questo lo rende uno spazio colore difficile in cui lavorare. Tra tutti, è quello che più si discosta dalla performance media di un monitor: non esiste alcun dispositivo in grado di riprodurre tutti i colori che ProPhoto RGB è in grado di generare, e alcuni di questi sono di fatto… dei “non-colori”, nel senso che alcune terne corrispondono a stimoli che risulterebbero invisibili per il nostro sistema visivo! Ci sono molti altri spazi colore standard, alcuni caduti in disuso per obsolescenza, altri ancora presenti ma assai meno diffusi dei tre citati: a oggi, la triade sRGB, Adobe RGB e ProPhoto RGB è pressoché padrona in campo fotografico. Uno dei problemi più annosi è posto dalla domanda: “In quale spazio colore standard è più opportuno lavorare?”. La risposta è disarmante nella sua semplicità: “Dipende”. Non c’è una regola che valga in generale, e ciascuna scelta ha dei pro e dei contro. È un argomento che vale la pena approfondire: lo affronteremo nelle prossime lezioni.

 

Chi è Marco Olivotto


Classe 1965, si laurea in fisica, ma lavora per anni come tecnico del suono e produttore musicale. Appassionato di fotografia fin da bambino, si avvicina presto alle tecniche digitali. La svolta avviene nel 2007, quando scopre i libri di Dan Margulis, padre della correzione del colore in Photoshop. Inizia a trasportare le tecniche apprese nella realizzazione grafica delle sue produzioni, fino a che nel 2011 inizia a insegnare gli stessi argomenti dopo avere seguito due corsi di teoria del colore applicata (base e avanzato) con lo stesso Margulis. Pubblica oltre 50 ore di videocorsi sulla materia con Teacher-in-a-Box, scrive a lungo per riviste specializzate, insegna in corsi post-diploma e universitari. Diventa speaker ufficiale per FESPA in diverse fiere internazionali e tiene corsi e workshop in Italia e Svizzera in diverse scuole (LABA, ILAS) e organizzazioni private. Ha collaborato in veste di consulente e formatore con realtà come Canon, Durst, Mondadori, Yoox, Angelini, Calzedonia, FCP Grandi Opere e altre. Si occupa di post-produzione fotografica e prestampa per diverse realtà editoriali. Nel 2016, la casa madre giapponese di EIZO lo ha nominato Ambassador nel primo gruppo di esperti formatosi attorno al marchiomarcoolivotto.com

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