23 Maggio 2020 di Redazione Redazione

Per ottenere la massima resa dal nostro schermo bisogna partire dalle basi: che cos’è il colore? Ce lo spiega l’Ambassador EIZO Marco Olivotto.

Il colore è un evento determinato da tre fattori distinti. Il primo è legato alle caratteristiche fisiche dell’oggetto che osserviamo: un foglio bianco, un maglione rosso e una foglia verde appaiono diversi perché la loro superficie riflette certe lunghezze d’onda più di altre. Se analizziamo come il maglione rosso riflette la luce solare, scopriremo che sono presenti soprattutto le lunghezze d’onda più lunghe dello spettro visibile; le foglie, invece, sono caratterizzate da una presenza cospicua di lunghezze d’onda intermedie. Il secondo fattore è legato alla composizione spettrale della luce che colpisce l’oggetto: il maglione che appare rosso alla luce del sole, per esempio, apparirà pressoché nero sotto una luce intensamente verde (figura 1), perché un oggetto rosso non è in grado di riflettere la luce verde, se non in minima parte.

Figura 1 – Il colore dipende dall’illuminante: alla luce del sole il maglione appare rosso ai nostri occhi; sotto un illuminante verde, invece, lo stesso maglione ci sembrerà nero.

Il terzo fattore è legato all’osservatore: non tutti vediamo allo stesso modo. La figura 2 mostra come un osservatore affetto da una forma di daltonismo chiamata “protanopia” percepirebbe il maglione che noi definiamo “rosso”. Non essendo in grado di percepire ciò che un osservatore normale percepisce, il suo concetto di “rosso” è radicalmente diverso dal nostro.

Figura 2 – Il colore dipende dall’osservatore: un daltonico affetto da protanopia vedrà il maglione in maniera completamente differente da un osservatore “normale”.

Questo dimostra che il colore assoluto è semplicemente un concetto. Il colore è una sensazione che si manifesta nella nostra mente, e come tale è un’esperienza soggettiva. L’esempio di figura 1 è estremo, ma non è difficile comprendere che una stampa fotografica – per esempio – apparirà diversa se la osserviamo alla luce diurna (CCT 6.500 K) piuttosto che sotto una lampada a incandescenza (CCT 3.200 K): se cambia il colore dell’illuminante, cambia anche il colore che percepiamo. Questo ha una ricaduta: se vogliamo che il nostro monitor mostri qualcosa di simile all’immagine che abbiamo stampato, dovremo impostarne la temperatura di colore tenendo conto delle condizioni di osservazione.

Il balletto degli standard

Nel corso del tempo sono stati creati degli illuminanti standard di riferimento. Uno tra i più comuni è noto come D65. Per comprendere di cosa si tratti, teniamo presente che la luce è composta da un insieme di lunghezze d’onda – il cosiddetto spettro. Non tutte le lunghezze d’onda presenti nello spettro portano lo stesso contributo: alcune hanno una potenza maggiore di altre, e viceversa. Quando misuriamo la potenza delle singole lunghezze d’onda, otteniamo la cosiddetta distribuzione spettrale di potenza della luce in esame. D65 è uno standard il cui scopo è quello di simulare la distribuzione spettrale della luce diurna in una giornata di sole in cui il cielo è limpido (figura 3). La temperatura di colore è pari a 6.500 K.

Figura 3 – La distribuzione spettrale di un illuminante che rispetta lo standard D65.

Vale la pena sottolineare che non è sufficiente che un illuminante abbia una temperatura di colore di 6.500K per risultare aderente allo standard D65. Esistono sorgenti luminose la cui emissione ci appare identica a quella di un illuminante standard D65, ma il cui spettro è molto diverso. Queste sorgenti non vengono considerate aderenti allo standard. A complicare le cose, interviene un fattore spinoso: quando esprimiamo il valore di una temperatura di colore correlata, compreso quello di 6.500 K, non stiamo tenendo in considerazione il fatto che le sorgenti luminose possono avere svariate variazioni verso il verde o il magenta che si riferiscono comunque a quella temperatura di colore: che è, per l’appunto, correlata. Esiste, per esempio, uno standard ANSI per i 6.500 K che prescrive un colore diverso da quello definito dallo standard D65: lo standard ANSI è di norma utilizzato da chi produce dispositivi di visualizzazione, ma non coincide con lo standard degli illuminanti. In certi contesti, fermo restando che dobbiamo sempre ammettere delle tolleranze, la differenza può essere fonte di problemi.

Come se non bastasse, il mondo della stampa ha scelto uno standard diverso: gli illuminanti utilizzati per valutare le prove di stampa non appartengono alla categoria D65 ma alla D50: hanno uno spettro diverso, e il loro colore è diverso rispetto a quello definito dallo standard D65, perché la temperatura di colore correlata è pari a 5.000 K. Per capire come ciò si riflette sul nostro lavoro, ipotizziamo di impostare il punto di bianco del nostro monitor a 6.500 K (noi lo abbiamo fatto tramite i menu evoluti dell’EIZO CG2730); apriamo un’immagine in Photoshop e confrontiamola con una stampa della stessa immagine, illuminata da una sorgente aderente allo standard D50. In questo caso, l’aspetto dell’immagine a monitor sarà tendente al blu rispetto alla stampa. Oppure, ed è la stessa cosa, la stampa apparirà più gialla del monitor. Questo non dipende dalla bontà dello schermo, ma dal fatto che quando operiamo una calibrazione dobbiamo fare una scelta della temperatura colore coerente con le condizioni di visualizzazione. Nessuno ci impedisce, naturalmente, di utilizzare un illuminante diverso per esaminare una stampa: ad esempio un D65. In quel caso, però, usciremmo da uno standard consolidato, e questo non è consigliabile.

Il monitor ColorEdge CG248-4K di EIZO raggiunge un livello di contrasto massimo di 1.000 a 1. È l’ideale per fotografia, arti grafiche & media.

Sembrerebbe che la soluzione ovvia consista nell’impostare il punto di bianco del monitor a 5.000 K quando si devono osservare delle stampe nelle condizioni standard. Anche questo però non funziona del tutto: il nostro sistema visivo elabora un segnale luminoso diretto, come quello che proviene dallo schermo, diversamente da un segnale luminoso riflesso, come quello che proviene dalla stampa. In generale, se impostiamo il monitor a 5.000 K, esso apparirà più giallo della stampa illuminata con una sorgente D50. Per questo motivo gli operatori tendono a spostarsi verso temperature di colore più alte. Alcuni considerano che 5.500 K sia una scelta ottimale, altri vedono maggiore concordanza cromatica a 5.800 K, e qualcuno arriva perfino a 6.000 K. Com’è possibile? Si ricordi il terzo fattore che concorre alla formazione dell’evento “colore”: l’osservatore. Non tutti percepiamo i colori allo stesso modo, ed esiste un margine di variabilità. Questo, naturalmente, rende difficile se non impossibile l’affermarsi di uno standard che risulti universalmente valido.

Il livello del nero

Qualsiasi monitor esibisce una luminanza residua quando gli chiediamo di mostrarci il colore nero definito dalla tripletta 0R 0G 0B (da Red, Green e Blue, ossia tutti i subpixel sono a zero). I pannelli IPS, in particolare, possono avere livelli del nero relativamente elevati a causa della retroilluminazione. Il rapporto tra la massima luminanza possibile (corrispondente al bianco) e la luminanza del minimo livello del nero ottenibile esprime il fattore di contrasto del monitor. Nei pannelli di fascia alta, il cosiddetto black level può scendere senza problemi fino a 0,1 cd/m2. Se la luminanza massima è pari a 100 cd/m2, il rapporto tra le due quantità risulta pari a 1.000:1, numero che esprime un contrasto decisamente rispettabile. Di solito abbiamo interesse a ottenere il nero più nero possibile, e quindi ad avere il minimo livello del nero possibile. In certi casi, però, potremmo avere bisogno di impostarlo diversamente. La stampa, per esempio, non riesce a esprimere rapporti di contrasto elevati come 1.000:1, perché le ombre non sono abbastanza profonde. Potrebbe avere senso, se vogliamo che il monitor emuli l’aspetto di una stampa, impostare il black level a 0,2 cd/m2, o poco sopra: questo già ridurrebbe della metà (o oltre) il contrasto. In generale, però, questo parametro è meno importante degli altri: la prassi è di lasciarlo al minimo.

Il gamma

Abbiamo stabilito, non senza fatica, un “nero” e un “bianco” per il monitor: rispettivamente, il punto di nero e la luminanza. Mettiamo per un attimo da parte il colore e concentriamoci su una scala di grigi, che esprime una variazione di luminosità. I gradienti di grigio che possiamo costruire tra nero e bianco sono idealmente infiniti. Come saranno distribuiti i vari toni di grigio? Ci sono molti modi di progredire dal nero al bianco, e la figura 4 ne mostra tre.

Figura 4 – La distribuzione dei grigi è controllata dal “gamma”. Di solito il gamma nativo di un monitor si attesta sul valore di 2,2, la scelta più comune.

Le linee rosse all’interno di ciascun gradiente mostrano la posizione del grigio intermedio, che si situa percettivamente a metà tra il nero e il bianco. Come si vede, nel primo caso esso si trova molto vicino al nero; nel secondo quasi a metà della scala; nel terzo poco oltre. La distribuzione dei grigi è controllata da un parametro denominato “gamma”, che è un esponente in una certa formula di contrasto. Le tre fasce hanno diversi valori di gamma: dall’alto in basso, gamma = 1,0, gamma = 2,2, gamma = 3,0. Più elevato è il gamma, più graduale sarà il passaggio dal nero al grigio intermedio; ma allo stesso tempo, più repentino sarà il passaggio dal grigio intermedio al bianco. Qualsiasi scelta di gamma è un compromesso. Storicamente, il gamma dipendeva dalle caratteristiche costruttive di un dispositivo, ma oggi ci sono poche eccezioni al fatto che il gamma nativo di un monitor sia pari a 2,2. Questa scelta, pur non essendo l’unica possibile, è la più comune.

Mettere tutto assieme

Dopo avere compreso il senso di tutti i parametri principali che possiamo impostare in un monitor, dobbiamo capire cosa convenga fare in pratica. Se lavoriamo per il Web, le impostazioni ideali saranno diverse da quelle per la stampa? Cosa conviene fare se ci occupiamo prevalentemente di post-produzione? E se il nostro lavoro coinvolge anche il video? Non sono domande scontate, e la risposta richiede alcune considerazioni. Rimandiamo la discussione alla prossima lezione.

 

Chi è Marco Olivotto


Classe 1965, si laurea in fisica, ma lavora per anni come tecnico del suono e produttore musicale. Appassionato di fotografia fin da bambino, si avvicina presto alle tecniche digitali. La svolta avviene nel 2007, quando scopre i libri di Dan Margulis, padre della correzione del colore in Photoshop. Inizia a trasportare le tecniche apprese nella realizzazione grafica delle sue produzioni, fino a che nel 2011 inizia a insegnare gli stessi argomenti dopo avere seguito due corsi di teoria del colore applicata (base e avanzato) con lo stesso Margulis. Pubblica oltre 50 ore di videocorsi sulla materia con Teacher-in-a-Box, scrive a lungo per riviste specializzate, insegna in corsi post-diploma e universitari. Diventa speaker ufficiale per FESPA in diverse fiere internazionali e tiene corsi e workshop in Italia e Svizzera in diverse scuole (LABA, ILAS) e organizzazioni private. Ha collaborato in veste di consulente e formatore con realtà come Canon, Durst, Mondadori, Yoox, Angelini, Calzedonia, FCP Grandi Opere e altre. Si occupa di post-produzione fotografica e prestampa per diverse realtà editoriali. Nel 2016, la casa madre giapponese di EIZO lo ha nominato Ambassador nel primo gruppo di esperti formatosi attorno al marchiomarcoolivotto.com

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