Antonio Intorcia - Lampedusa: UNO SGUARDO, UN PENSIERO SUL MONDO
Lampedusa: UNO SGUARDO, UN PENSIERO SUL MONDO
Le foto documentano l’avvenuta maturazione artistica del giovane Antonio Intorcia. Sono immagini che raggiungono un’autonoma bellezza; sono frammenti d’una realtà quotidiana universale, dove è avvenuto il fallimento della civiltà . Intorcia volge lo sguardo stupito su questa realtà e ce ne fa leggere l’indifferenza,l’abbandono, la solitudine. Una barca,il sogno d’una vita ora abbandonata, ventre a terra, al limite tra la terra ferma e la spiaggia, dietro lo schermo di una sottile balaustra di cemento, mentre sulla strada asfaltata un’auto bianca le scorre dinanzi veloce, assolutamente indifferente. Antonio Intorcia non si limita a gettare solo uno sguardo, sia pure pietoso, su quella realtà , su ciò che rimane; egli rivolge, simultaneamente, anche un pensiero su quel mondo che fotografa. Egli guarda e pensa. E quella foto diviene l’immagine stessa, simbolica del sogno che si è infranto.
Come un guscio vuoto di noce, insieme ad altre barche che fanno solo un cumulo di immondizia, quella barca è l’immagine muta dell’assoluta solitudine che strilla assordante nel vuoto, come il volto disperato dell’Urlo di Munch. .La sua arte fotografica rientra così nella poetica che Rauschenberg, dopo Warhol, elaborava già negli anni sessanta per cui l’arte può anche solo pensare, guardando il mondo. E’ un’arte che va oltre la dimensione del reportage: più che descrivere, rappresentare, interpretare la realtà , vuole testimoniarla. Di qui nasce la sua missione di reporter fotografico ramingo per il mondo, di naufrago egli stesso, con espressione torva e selvaggia nel volto barbuto e sconvolto.Nell’arte fotografica di Intorcia, memore dell’insegnamento ricevuto dalla tradizione della sua famiglia di fotografi, gli elementi tornano ad essere funzionali, perdono cioè l’esclusiva trasposizione fantastica e riacquistano, nella fedeltà fotografica alla realtà , il loro peso e la loro gravità ; la composizione diviene un insieme di masse solide, precise, che ben s’impongono nello spazio con un ritmo solenne ed austero, tutto impegnato a proporzionare i pieni e i vuoti, i contrasti di luci e di ombre, a testimoniare una drammatica vicenda. Il linguaggio espressivo si basa su una nuova struttura dell’immagine, privilegiando la prospettiva centrale, e acquista una sua intrinseca struttura topologica che va oltre la struttura oggettiva dei luoghi reali. Così, ad esempio, la barca citata assume ogni volta una sua collocazione contingente precisa; è solo la sagoma scura del suo ventre ricurvo che si arrampica ai bordi estremi del foglio bianco, o, come in altra foto, si pone in margine nella composizione, sullo sfondo scuro d’un’improbabile spiaggia, contro un primo piano di luce sull’asfalto della strada cittadina. In ogni singola visione l’immagine della barca trova una sua decontestualizzazione dall’ambiente suo più proprio, la spiaggia, il mare; essa serve a far riacquistare all’oggetto ripreso, il suo significato originario che si era perduto: la barca è il sogno di una vita. Il salvagente sul fondo della barca si presenta rigonfio ma si ripresenta sgonfiato e inutile, sul pavimento di cemento. Concatenate, le due immagini significano che il salvataggio dell’umanità , tentato, è fallito. A differenza della Pop Art, l’autore non cerca manipolazioni di sorta dell’immagine reale, non visioni rasoterra o aeree o accidentali che deformano la realtà in una prospettiva aberrata; esso ripristina, restaura il valore funzionale della prospettiva centrale e ne rivaluta le canoniche tre dimensioni: nella profondità dello spazio s’inquadra il dialogo diretto, il colloquio frontale, tra la realtà e l’artista. Le immagini esprimono sì una certa crudezza e violenza di contenuti, ma è una violenza contemplata quella fermata e proiettata sulla foto. Nasce così la re-invenzione dell’immagine, una ri-figurazione che è una caratteristica propria dello stile di Intorcia. La concentrazione dello sguardo e del pensiero è sui fatti, sulle immagini incontrate per strada, se mai per caso. E su questa realtà scoperta, che è la realtà vissuta, o meglio il vissuto della realtà , l’autore invita noi che guardiamo, non più indifferenti e crudeli, a volgere, oltre lo sguardo, un pensiero, se mai pietoso, consapevoli che quel mondo ritratto comunque ci appartiene. Un mondo di cui siamo responsabili.
Riccardo Sica