20 Giugno 2020 di Redazione Redazione

Non tutti i colori della foto originale possono essere riprodotti in stampa. L’Ambassador EIZO Marco Olivotto ci spiega perché.

Nell’articolo di settimana scorsa abbiamo discusso la scelta dello spazio colore di lavoro ottimale per la post-produzione delle nostre fotografie. Riassunto breve: quando scattiamo in RAW, non stiamo selezionando a priori uno spazio colore, perché la scelta avviene al momento dello sviluppo. Le possibilità sono varie, ma nella pratica si riducono a tre spazi standard: sRGB, Adobe RGB, ProPhoto RGB. Ciascuno di essi, qui elencati in ordine di gamut crescente, ha dei pro e dei contro. Molto in generale, e al netto di un discorso assai più complesso, possiamo anche considerare che gli schermi di livello medio coprono grosso modo il gamut di sRGB, mentre quelli di fascia alta (per esempio i pannelli EIZO delle serie CS e CG) coprono quasi completamente il gamut di Adobe RGB, offrendoci una tavolozza di colori molto più estesa. Nessun display è invece in grado di coprire il gamut di ProPhoto RGB.

La scelta dello spazio di lavoro è largamente dipendente dalla tipologia di fotografie che si devono manipolare: in certi casi, sRGB è più che sufficiente, mentre in altri la scelta di uno spazio colore molto esteso come ProPhoto RGB può essere opportuna. In media, Adobe RGB rappresenta un compromesso ragionevole in molti casiIn questo articolo, però, ci interessa affrontare un problema diverso: esistono delle scelte preferenziali quando le fotografie sono destinate alla stampa? Per “stampa” intendiamo in generale la riproduzione fisica delle nostre immagini su un substrato, per mezzo di inchiostri o pigmenti. Carta, quindi, ma non solo: la stampa digitale permette ormai di realizzare copie fisiche su quasi qualsiasi materiale – tessuto, PVC, ceramica, e la lista potrebbe continuare a lungo.

La stampa tradizionale

Partiamo chiarendo subito un punto fondamentale. In generale, la stampa ha poco a che fare con RGB. Consideriamo, per esempio, la stampa litografica realizzata con il processo detto “offset”. La base di inchiostri necessaria per stampare a colori si fonda sulla quaterna di colori di quadricromia: ciano, magenta, giallo e nero – il ben noto sistema CMYK. Agli inchiostri di processo possono esserne eventualmente aggiunti altri (solitamente tinte piatte appartenenti a una libreria PANTONE) allo scopo di estendere il gamut messo a disposizione dalla quadricromia, che non è particolarmente esteso.

Figura 1 – La rappresentazione grafica dello spazio colore sRGB (rete a maglie bianche) a confronto con quello standard di stampa in quadricromia su carta patinata.

La figura 1 mostra lo spazio colore sRGB a confronto con lo spazio colore standard di stampa in quadricromia su carta patinata lucida o opaca, secondo lo standard ISO corrente (12647-2, per i curiosi). sRGB è rappresentato dalla rete con le maglie bianche, mentre il solido colorato rappresenta lo spazio colore CMYK. Possiamo notare che sRGB, pur avendo un gamut piuttosto ristretto, eccede di gran lunga lo spazio di stampa in molte aree cromatiche, con una clamorosa eccezione: l’area compresa tra il verde e il ciano che si può notare in basso nella figura e che fuoriesce in maniera notevole da sRGB. Facciamo un esempio di ciò che questo implica: il colore ciano puro ottenibile in stampa (100C, in gergo) non è compreso in sRGB. Rovesciando il discorso, nessun file sRGB potrà codificare il ciano puro, che sarebbe però perfettamente stampabile. Allo stesso modo, un monitor il cui spazio colore sia più o meno esteso come sRGB non potrà mostrare un’anteprima accurata di quel colore. Questo nonostante il fatto che moltissimi colori riproducibili in sRGB non siano stampabili. In definitiva, nessuno dei due spazi colore è inglobato nell’altro. Per dirla in maniera frettolosa ma comprensibile: quando li sovrapponiamo, pezzi di sRGB cadono fuori da CMYK, e pezzi di CMYK cadono fuori da sRGB.

Il problema ciano

Questo suggerisce che sRGB a priori non sia uno spazio ottimale in cui produrre le immagini destinate a una conversione CMYK: anche se il ciano puro di quadricromia è un colore raro in fotografia, limitarsi a sRGB significherebbe precludersi la possibilità di riprodurlo. In soldoni, questo significa che sRGB non permette di sfruttare appieno tutto il gamut disponibile in CMYK. Neppure Adobe RGB, il cui gamut è più esteso di sRGB, riesce a inglobare completamente CMYK, ma l’approssimazione che si ottiene è di gran lunga migliore. Ergo, Adobe RGB è una buona scelta come spazio di lavoro per quanto riguarda le immagini da stampare in quadricromia.

Figura 2A

La figura 2, divisa in 2A e 2B, mostra un esempio pratico. La figura 2A riproduce una banana. Un’immagine di questo tipo viene stampata quasi esclusivamente per mezzo dell’inchiostro giallo, e riceve ben pochi contributi dal magenta e dal ciano.

Figura 2B

Nella figura 2B si vede cosa accadrebbe se uno stampatore distratto versasse l’inchiostro ciano nel calamaio del giallo e viceversa: il frutto, del tutto irreale, vira dal giallo a un ciano pressoché puro. La domanda è: questa immagine, così come appare su carta, sarebbe riproducibile in maniera accurata sul nostro smartphone? La risposta è no: il ciano del frutto apparirebbe più chiaro e meno saturo a schermo, proprio a causa della limitazione dello spazio sRGB che approssima il comportamento medio di un dispositivo di visualizzazione. Seconda domanda: la figura 2B sarebbe riproducibile in maniera accurata su un monitor di fascia alta che copra quasi completamente il gamut di Adobe RGB? La risposta è sì, o perlomeno – sì, con un errore largamente trascurabile. Questo implica che un monitor di fascia medio-bassa non sia adatto a realizzare la simulazione di una stampa offset (la cosiddetta “soft-proof”): serve un monitor di fascia alta il cui spazio colore abbia un gamut tale da comprendere tutti o quasi i colori di quadricromia.

La stampa digitale

L’espressione “stampa digitale” ha assunto un significato molto esteso: si indica con questo nome qualsiasi processo in cui si ottenga una copia fisica di un elaborato grafico su un substrato, senza la necessità di realizzare lastre, cliché o passaggi intermedi come nella stampa tradizionale. Nella stampa digitale, la base di inchiostri/pigmenti rimane CMYK, ma in media la resa cromatica dei primari (ciano, magenta, giallo) è migliore che nella quadricromia tradizionale: i colori sono più intensi e puri. Spesso, inoltre, vengono utilizzati inchiostri aggiuntivi come il ciano chiaro o il magenta chiaro, che servono per una migliore resa delle tinte pastello e delle sfumature. Resta certo il fatto che, anche in digitale, nessuna macchina da stampa può lavorare in RGB, per ragioni fisiche: la miscela di inchiostri rosso, verde e blu non può produrre tinte come il giallo, l’arancione o il ciano. In termini più tecnici, la stampa si basa sulla sintesi sottrattiva dei colori, non sulla loro mescolanza additiva.

Consideriamo per semplicità una stampante a getto d’inchiostro. Lo spazio colore disponibile per la stampa dipende (oltre che dalla macchina) dagli inchiostri e dalla carta utilizzati. Per semplificare, pensiamo di utilizzare gli inchiostri standard forniti dal produttore per un determinato modello – come se fossero parte integrante della stampante: in questo modo, lo spazio colore di stampa dipenderà solo dalla combinazione stampante+carta. Di norma, questo spazio colore è… RGB, e questo crea una certa confusione. Non abbiamo appena detto che la tecnologia di stampa può utilizzare solo CMYK come base? Il motivo è che in generale le stampanti digitali si aspettano dati RGB in input. Questi dati vengono interpretati internamente dal software proprietario della macchina, al quale non abbiamo accesso, che pilota materialmente gli ugelli della testina di stampa. Solo per questo motivo una stampante viene caratterizzata per mezzo di uno spazio colore RGB.

Due spazi colore, anzi tre

Quando parliamo di stampa, quindi, gli spazi colore in gioco sono due; anzi, se vogliamo includere il monitor sono addirittura tre:
1. lo spazio colore dell’immagine;
2. lo spazio colore del monitor;
3. lo spazio colore del sistema 
stampante+carta.

Il primo spazio colore, quello dell’immagine, è di solito uno spazio standard: sRGB, Adobe RGB o ProPhoto RGB. Il secondo spazio colore è quello che descrive il comportamento del monitor a partire da opportuni parametri di calibrazione. Viene impostato a livello di sistema e definisce le regole con cui i dati dell’immagine vengono tradotti e rappresentati a schermo. Molto schematicamente, gli spazi colore tipici dei monitor sono assimilabili a sRGB (fascia medio-bassa) e Adobe RGB (fascia alta). A costo di essere noiosi: “sono assimilabili” significa solo “assomigliano abbastanza a”. Nessun monitor può essere descritto alla perfezione da uno spazio colore standard, perché questi spazi sono di natura teorica e vengono generati a tavolino, non da misurazioni di un dispositivo. Il terzo spazio colore è quello che descrive il comportamento della stampante in nostro possesso quando utilizziamo un determinato tipo di carta. Si può definire per mezzo di un profilo ICC creato ad hoc con una procedura abbastanza simile a quella necessaria a creare il profilo colore del monitor; oppure ci si può basare su profili ICC preconfezionati che i produttori di stampanti e di carta mettono a disposizione dell’utente per una determinata carta, e definiscono appunto lo spazio colore disponibile in stampa.

Figura 4 – Lo spazio colore sRGB (reticolo bianco) a confronto con uno spazio colore della stampa definito da un profilo ICC fornito dal produttore della stampante per una certa coppia stampante+carta. Notiamo che in questo caso non è solo il ciano puro a non essere coperto ma anche alcune tonalità di giallo, arancio e rosso.

La figura 4 mette a confronto lo spazio colore definito dal profilo appena citato con lo spazio standard sRGB, il meno esteso tra gli spazi standard comunemente utilizzati. Come prima, il volume a colori è lo spazio colore della stampa, quello in bianco è sRGB. Si nota subito una cosa interessante, che fa riflettere: in alcune aree cromatiche notiamo un effetto simile a quello esaminato nel caso della stampa in quadricromia. Stavolta però non è limitato all’area del verde-ciano, ma coinvolge – anche se in misura diversa – colori come il giallo, l’arancione, il rosso.

Conseguenze

Le conseguenze sono simili a quelle già discusse nel caso della stampa offset. Lo schema che possiamo adottare è questo: in molti casi, lo spazio colore disponibile nella stampa digitale è più esteso rispetto a quello della quadricromia tradizionale. In particolare, eccede in maniera significativa molte aree di sRGB. La situazione è migliore se utilizziamo Adobe RGB, e si risolve del tutto con ProPhoto RGB. Teniamo però presente che non tutti i colori di uno spazio standard sono riproducibili in stampa, e più esteso è lo spazio colore che utilizziamo, più rischiamo di produrre colori che non saranno né visualizzabili a schermo, né stampabiliDa questo punto di vista, ProPhoto RGB sembra essere lo spazio di lavoro ideale per le immagini da destinare alla stampa digitale, ma questo è vero se siamo davvero in grado di gestirlo, perché è un campo da gioco così ampio che richiede una certa perizia. Adobe RGB, quindi, è un buon compromesso tra tutte queste limitazioni.

Figura 5 – Il gamut della riproduzione di un quadro di Raffaello non si avvicina minimamente a quello dell’intero spazio colore RGB, qualsiasi esso sia. In stampa non avremo problemi a ottenere un risultato piuttosto accurato.

Ricordiamo inoltre, ancora una volta, che non tutte le immagini sono critiche: la figura 5, già vista nel precedente articolo, mostra il gamut della riproduzione di un quadro di Raffaello, che non si avvicina minimamente a quello dell’intero spazio colore RGB, qualsiasi esso sia. Se dovessimo stampare quell’immagine, non avremmo problemi: avere una tavolozza estesa piace a tutti, ma è vero che se dobbiamo riprodurre una scena in cui non ci sono tinte verdi o blu significativamente intense, il verde e il blu servono tutto sommato a poco. Ricordiamocene al momento di sviluppare le nostre fotografie, senza farci fuorviare troppo da ragionamenti teorici che sono corretti ma talvolta lasciano il tempo che trovano. Non esiste una soluzione ottimale e univoca: è tutto molto “image-dependent”, come direbbero gli anglosassoni. Assicuratevi quindi di avere uno spazio colore sufficientemente esteso a disposizione, in cui la vostra immagine possa “vivere” con agio, e procedete serenamente.

Per concludere

Per finire, un consiglio per difendervi da coloro che predicano sui vari gruppi e forum una delle bufale del nostro tempo: “Chiunque non utilizzi ProPhoto RGB è un fotografo di Neanderthal, rimasto indietro sulla scala evolutiva e geneticamente inferiore!”. Photoshop ha molti strumenti fondamentali, ma noi neanderthaliani ne abbiamo uno assai potente: lo Strumento Clava. Impugnatelo saldamente, tirate una botta in testa ben assestata ai finti guru (senza fargli però troppo male) e vedrete che faranno finalmente silenzio almeno per un po’. Nel frattempo, noi potremo sviluppare e stampare in pace le nostre foto, grugnendo magari di felicità ai risultati provenienti da un buon file sRGB. Perché? Dipende dall’immagine!

 

Chi è Marco Olivotto


Classe 1965, si laurea in fisica, ma lavora per anni come tecnico del suono e produttore musicale. Appassionato di fotografia fin da bambino, si avvicina presto alle tecniche digitali. La svolta avviene nel 2007, quando scopre i libri di Dan Margulis, padre della correzione del colore in Photoshop. Inizia a trasportare le tecniche apprese nella realizzazione grafica delle sue produzioni, fino a che nel 2011 inizia a insegnare gli stessi argomenti dopo avere seguito due corsi di teoria del colore applicata (base e avanzato) con lo stesso Margulis. Pubblica oltre 50 ore di videocorsi sulla materia con Teacher-in-a-Box, scrive a lungo per riviste specializzate, insegna in corsi post-diploma e universitari. Diventa speaker ufficiale per FESPA in diverse fiere internazionali e tiene corsi e workshop in Italia e Svizzera in diverse scuole (LABA, ILAS) e organizzazioni private. Ha collaborato in veste di consulente e formatore con realtà come Canon, Durst, Mondadori, Yoox, Angelini, Calzedonia, FCP Grandi Opere e altre. Si occupa di post-produzione fotografica e prestampa per diverse realtà editoriali. Nel 2016, la casa madre giapponese di EIZO lo ha nominato Ambassador nel primo gruppo di esperti formatosi attorno al marchiomarcoolivotto.com

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