18 Ottobre 2019 di Giada Storelli Giada Storelli

Mario Giacomelli aveva un legame particolare con la sua città (Senigallia) e la terra intorno dalle quali traeva ispirazione per rendere universale il particolare attraverso la potenza della poesia . Allo stesso modo, Lorenzo Cicconi Massi trae linfa vitale per le sue immagini da quegli stessi luoghi che con Giacomelli ne condivide i natali. I suoi scatti possiedono  la stessa ruvidità  del celebre maestro, ma, allo stesso tempo, si distinguono per raffinatezza e leggerezza di sentimento . Nel 2000, dopo aver vinto il premio Canon, l’autore entra a far parte della rinomata agenzia italiana Contrasto. Nel 2007 vince il Premio Amilcare Ponchielli con il progetto Fedeli alla tribù.  Negli anni ha proposto diverse mostre sia in Italia che all’estero.

Intervista a Lorenzo Cicconi Massi

Dove nasce la tua passione per la fotografia e quando si è trasformata in una professione? «La mia fascinazione per le immagini e la reinterpretazione della realtà nasce dalla mia grande passione al liceo per il cinema – avrei voluto fare l’attore tant’è che provai a entrare all’Accademia di Arte Drammatica a Roma ma non fui preso – per poi indirizzarmi, negli anni universitari, quasi totalmente verso la fotografia. Il mio incontro avvenne in un luogo fisico della mia città natale. In quegli anni frequentavo il negozio dell’amico Amleto Leopoldi, in centro a Senigallia, storico stampatore dove Mario Giacomelli portava a sviluppare i suoi rulli. È qui che sono entrato in contatto con la grande fotografia e con il lavoro di uno dei più rivoluzionari fotografi di sempre. Giacomelli è stato un vero e proprio poeta dell’immagine, un uomo che ha trasmesso a tutti noi il messaggio che per fotografare non occorre cercare l’impossibile, ma basta saper osservare la realtà che ci circonda trasformandola con la propria personale visione. Così un giorno ho visto dei bambini che giocavano e decisi di voler raccontare questo momento attraverso la fotografia. Iniziai a scattare in bianco e nero per poi trasferirmi in camera oscura e provare a sperimentare. Queste immagini rimasero per qualche tempo in un cassetto. Nel 1999 decisi di partecipare alle letture portfolio organizzate all’interno del festival Les Rencontres de la Photographie d’Arles. In quell’occasione ricevetti entusiastici commenti sia da un critico francese che dalla curatrice italiana Giovanna Calvenzi che mi spinsero a concludere la serie. Quello stesso anno ho vinto con lo stesso progetto il premio Canon e da lì ebbe inizio la mia carriera. Dopo quel momento sono successe tante cose, come l’ingresso nell’agenzia Contrasto, alternando la mia attività di fotografo a sperimentazioni video, oltre a qualche incursione nel cinema come regista».
Alberini e arzigogoli e  Viaggio intorno a casa sono alcuni dei tuoi progetti. In questi emerge con forza la tua cifra stilistica, caratterizzata da un forte e contrastato bianco e nero. Dove nasce l’idea di questi progetti? «Viaggio intorno a casa non è un vero e proprio progetto, ma il titolo della mia prima mostra formata dall’insieme di una serie di fotografie che ho scattato nei luoghi della mia infanzia dove sono cresciuto. Alberini e arzigogoli, invece, è una serie di macrofotografie dove sono andato alla ricerca delle forme strabilianti che la natura può assumere anche in soggetti all’apparenza poco significativi, come un tralcio d’uva o una foglia di fico che si accartocciano su se stesse assumendo forme sorprendenti. La mia fotografia nasce dal profondo rapporto che ho con gli elementi che incontro e che influenzano la mia vita. Per esempio, le ombre che si allungano sulla terra, a volte sono talmente profonde, che cancellano o svelano modificando la percezione delle cose, i raggi del tramonto che danno vita a oggetti, all’apparente insignificanza di un vetro rotto o del vento che muove i vestiti. Scattare in controluce mi aiuta a fare pulizia degli elementi che non mi interessano. Così riduco tutto all’essenziale, placando il caos intorno e dentro me».
Uno dei tuoi lavori più celebri sono Le donne volanti . Da dove nasce l’idea? Cosa hanno di magico queste donne? «Nascono da un sogno a occhi aperti che ho fatto una volta ascoltando un vecchio brano dei Pink Floyd mentre camminavo senza meta per la campagna della mia terra, le Marche. Mi sono immaginato di vedere alcune figure femminili imprigionate a terra insieme agli alberi, la cui magnifica bellezza era trattenuta della terra che le ospitava. Nel mio camminare ho fatto librare in volo queste figure e le ho viste dirigersi verso la luna. Non saprei dire che cosa significano Le donne volanti, forse sono i miei pensieri e desideri che si liberano, o forse non sono nulla di tutto ciò. Sicuramente la realizzazione di una mia fantasia a cui ho dato concretezza tramite la fotografia».
Qual è stato il momento più significativo della tua carriera? «Di momenti importanti in un percorso professionale ce ne possono essere molti. Di sicuro in questo mestiere è importante vincere dei premi, avere dei riconoscimenti. Nel mio caso, sono stati fondamentali il premio Canon del 1999, il premio Amilcare Ponchielli del 2007 e certamente il World Press Photo nel 2006. Tuttavia ritengo che, più di tutti, è la spinta che viene da dentro quando senti di dare voce all’immaginazione e forma ai pensieri riuscendo a condividere con gli altri le tue stesse emozioni».

L’intervista completa sul nuovo numero de Il Fotografo, in edicola e disponibile online cliccando qui 

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09 – 10 novembre 2019
Bottega Immagine – Centro Fotografia Milano, Via Carlo Farini, 60
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