25 Marzo 2020 di Redazione Redazione
Una delle tecniche competitive di cui meno si parla, ma che tutti seguono, prevede di tenere separate le parti essenziali di un’immagine. Non voglio usare la parola “regola”, non tanto perché non credo che le regole abbiano un qualsiasi ruolo in un’attività creativa, ma perché nessuno con un minimo di buon senso pensa in questi termini: «Oh, devo fare così o sarà un disastro». Inoltre, questa tecnica è efficace solo in alcuni casi ed entra in gioco solo con scene affollate di uno specifico tipo.

Parola d’ordine: separazione

Qualche tempo fa (NPhotography n° 74, maggio 2018) parlammo dell’opportunità di cambiare il punto di vista e il momento della ripresa per separare diversi elementi dell’inquadratura. Ne abbiamo visto l’applicazione con scene che contengono elementi diversi e distinti e uno sfondo in contrasto. Pensiamo, per esempio, a un gruppo di persone nello stesso spazio, soprattutto in silhouette, o luminose su fondale scuro: se abbiamo tempo e modo, è naturale evitare che si sovrappongano – a meno di non voler unire più cose e creare un’immagine buffa o surreale, come si vede spesso in fotografia di strada.

Il capitano

Un’altra situazione, non lontanissima, può invece vedere una scena con due spazi distinti: spazi fra le cose (magari facciate bianche e nere, oppure una struttura difficile da evitare, come in questo caso). Qui ero nel sud delle Filippine per un libro, nella città portuale di Zamboanga. Le imbarcazioni tradizionali, grandi canoe con una griglia esterna che dà loro stabilità, sono dette “vinta” e hanno vele tipiche e colorate, create con mosaici di tessuto. Sono irresistibili, anche perché sono centrali nella vita e nella cultura delle comunità Bajau e Moro. Ho pensato di riprenderle con un grandangolo da bordo, anziché dalla riva, e ho trovato un pescatore disposto a portarmi con lui. Come vedete, lo spazio è poco e la posizione della fotocamera è quasi fissa. Avevo un 20 mm per includere parte della vela e le altre imbarcazioni al largo del villaggio di palafitte.

Avevo quindi un’inquadratura quasi bloccata, strutturata dai vari pali di albero e griglia, e quattro elementi da inserire: angolo della vela, altra barca in distanza, le conchiglie pescate e il pescatore stesso, a prua. Potevo inclinare la fotocamera e potevo spostarla di una trentina di centimetri in ogni direzione, e nient’altro. Con un grandangolo da vicino, però, anche un piccolo spostamento di posizione ha un grande impatto. Poiché ci muovevamo nella stessa direzione dell’altra imbarcazione, avevo un po’ di tempo, ma dovevo evitare che i diversi elementi si impastassero: dovevo inserirli ognuno in un suo spazio. Trovare la posizione giusta per riuscirci è stato più difficile di quanto mi aspettassi e, poiché era impossibile inscrivere l’uomo chiaramente in uno spazio vuoto, alla fine ho optato per centrarlo alle spalle dell’albero di prua.

Michael Freeman

Fotografo britannico di viaggi, architettura e arte orientale, è autore di manuali di grande successo. Oltre che con NPhotography, collabora con la rivista dello Smithsonian Institute e con molti editori internazionali

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