30 Marzo 2019 di Vanessa Avatar

La nostra epoca sarà certamente ricordata per l’incredibile e rapido sviluppo tecnologico a cui tutti noi stiamo assistendo. Questo ha trasformato la nostra quotidianità, ha distrutto credenze e creato nuovi punti di vista, ha cambiato profondamente il nostro modo di lavorare, di relazionarci agli altri e di vivere il nostro tempo – e molto poco sappiamo di come tutto ciò realmente funzioni –. Dove si trovano i server che contengono i nostri dati? Cosa s’intende per intelligenza artificiale? Da cosa è composta una protesi meccanica? Tutte domande a cui la maggior parte di noi non saprebbe dare una risposta. Sebbene l’urgenza di far luce nel rapporto tra essere umano e tecnologia sia diventato un tema particolarmente sentito per artisti e intellettuali, soprattutto negli ultimi anni, andando a ritroso nel tempo sono diversi gli autori che hanno impiegato la loro fantasia per immaginare probabili scenari. Come non ricordare alcune pietre miliari della cinematografia come il visionario 2001: Odissea nello Spazio (1968) di Stanley Kubrick, Blade Runner (1982) di Ridley Scott e L’uomo bicentenario del 1999, ma anche grandi classici della letteratura come 1984 di George Orwell, Fahrenheit 451 di Ray Bradbury fino a giungere al recente saggio Essere una macchina di Marc O’Connel. Il professore e saggista israeliano Yuval Noah Harari, nella sua recente pubblicazione Homo Deus. Breve storia del futuro (Bompiani), sulla base dei suoi studi afferma che «la maggior parte di noi non avrà la possibilità di decidere in quale modo la tecnologia interverrà sulle nostre vite, perché la maggior parte di noi non la capisce». Anche in fotografia molti sono i tentativi di riflessione su questo nuovo e imprevedibile rapporto tra uomo e macchina.

L’autore tedesco Thomas Struth, uno degli artisti più importanti della sua generazione e allievo dei coniugi Becher, dal 2007 ha avviato un’indagine attraverso un corpus di opere dal titolo Nature & Politics, in mostra alla Fondazione MAST di Bologna fino al prossimo 22 aprile. Il progetto, come spiega l’autore, «mette in discussione il rapporto tra queste due categorie e lo sviluppo della tecnologia come promessa unica del progresso umano. Più di recente ho aggiunto a questo filone tre opere eseguite all’ospedale universitario della Charité di Berlino, che riguardano il rapporto diretto tra corpo umano e tecnologia e il tema della mortalità. In questo ambito desidero indagare i processi attraverso i quali operano l’immaginazione e la fantasia». Con questo nuovo lavoro Struth ci conduce alla scoperta di luoghi solitamente inaccessibili al pubblico, mostrando uno spaccato del mondo sconosciuto che sta dietro all’innovazione tecnologica. Laboratori di ricerca spaziale, impianti nucleari, sale operatorie, piattaforme di perforazione sono fotografati con minuziosa attenzione e distaccata curiosità. Urs Stahel, curatore dell’esposizione, spiega che il fotografo tedesco «ci rivela una serie di sperimentazioni scientifiche e ipertecnologiche, di nuovi sviluppi, ricerche, misurazioni e interventi che in un momento imprecisato, nel presente o nel futuro, in modo diretto oppure mediato, faranno irruzione nella nostra vita e ne muteranno il corso». Thomas Struh, con Nature & Politics, punta la sua attenzione sulle macchine quali strumenti di trasformazione della società contemporanea ed esplora l’estetica dell’innovazione e della sperimentazione: registra la potenza e l’influenza esercitate in modo occulto dalle tecnologie avanzate sulla nostra esistenza.

Thomas Struth Nature & Politics
Mast. Gallery
Via Speranza 42, Bologna
Fino al 22 Aprile

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