7 Giugno 2019 di Vanessa Avatar

Peter Lindbergh, un maestro della fotografia mondiale. Erano gli inizi degli anni Novanta quando il fotografo, grazie al sostegno della neodirettrice di Vogue, Anna Wintour, stupì il mondo offrendo un’immagine familiare delle divine modelle. Poco trucco e una semplice camicia bianca. Qualcosa di completamente diverso appariva, per la prima volta, sulla copertina della rivista di moda più autorevole nel mondo. Da quel momento, ogni suo editoriale è divenuto un pretesto per mettere in scena e raccontare una storia di altra bellezza che perde la propria attrattiva puramente estetica e si trasforma in un’esaltazione della personalità, della vulnerabilità e della sensibilità di ogni essere umano e, in particolare, della donna. Sono fotografie meno impostate, apparentemente casuali, dotate di un grande realismo e di una malinconia che potremmo definire una reminescenza del passato, quasi un’eredità geografica dei cieli grigi e delle atmosfere cupe dell’ex Germania dell’Est. Il luogo di provenienza rimane, infatti, un bagaglio visivo racchiuso in quelle fotografie scattate su letti disfatti, in vecchi teatri, lungo le strade di periferia e nei deserti. Sguardi sicuri di soggetti imperscrutabili, lasciano spazio all’incertezza e al mistero in momenti di silenzio decisivi. Sorride quando definiamo la sua, come una carriera inarrestabile che ha imposto un modo nuovo di vedere e che semplicemente ci descrive come un insieme di tanti fattori: sperimentazione, lavoro, coerenza e un po di talento guidati da un chiaro punto di vista. «Non c’è mai stato nulla di difficile nel trovare la mia visione – afferma il fotografo – perchè si è rivelato un processo parallelo alla ricerca di cosa volessi esprimere e comunicare. Col tempo, ho iniziato a capire chi ero e dove volevo andare ed è questa la base da cui muove ogni manifestazione creativa, che si tratti di un fotografo, di un artista o di un musicista consapevole di avere qualcosa da dire». Racconta di aver compreso l’importanza di ascoltare solo se stesso quando si tratta di dare un significato e un’impronta visiva al proprio lavoro e aggiunge: «Diventa istintivo e naturale avere una determinata visione della realtà circostante; è un sentire in maniera automatica quel modo di fotografare le donne, le modelle, le attrici, gli uomini o qualunque altra cosa». Osservando le sue immagini si ha la sensazione che il fotografo riesca a entrare in profondo contatto con ogni soggetto.

 
 
 

Heidi Mount, Paris, 2008 © Peter Lindbergh Courtesy of Peter Lindbergh, Paris / Gagosian Gallery

A cura di Benedetta Donato

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