Daniel Featherstone, cresciuto negli anni Settanta nel sud dell’Inghilterra, è stato un writer, un grafico, un art director. Ha abbandonato la scuola a sedici anni e si è fatto condurre dalla strada verso la fotografia. Un teenager impressionabile, ribelle e pioniere, si definisce un adulto sensibile, sognatore, triste e provocatore. Definizioni valide anche per le sue immagini, scattate da un istinto autodidatta tra le vie di Manhattan.
Per Daniel Featherstone la fotografia di strada è il genere più stimolante e impegnativo. Ci racconta perché.
Daniel Featherstone si racconta
Le fotografie di New York negli anni Sessanta e Settanta, che i miei genitori custodivano gelosamente, sono i miei primi ricordi fotografici.
Il trasferimento negli Stati Uniti, a New York, negli anni Novanta, mi ha spinto a imparare da autodidatta il linguaggio e la progettazione grafica.
Il mio tragitto mattutino da casa al lavoro ha ispirato le mie prime foto a Manhattan. Sono immagini in bianco e nero, scattate con uno smartphone e tuttora le mie migliori, che ho raccolto in 10 Blocks.
Concentrare la mia fotografia sulle idee e non sulle cose è stato il processo naturale che mi ha indirizzato a focalizzarmi sui personaggi che incontravo per le strade. Non ero a conoscenza dell’etichetta di street photography, facevo foto di quello cui rispondevo a livello emozionale.
La fotografia di strada fa sentire vivi
La fotografia di strada mi ha insegnato tutto. È il tipo di fotografia più stimolante e impegnativo che conosca. È emotivamente drenante, ma mi fa sentire vivo.
La filosofia di Joel Meyerowitz, un poeta naturale della strada, è di grande ispirazione. Come il lavoro di Sally Mann, bello e poetico e quello impegnativo di ritrattistica in grande formato di Richard Learoyd.
La luce influisce sulla composizione, poi osservo e aspetto lo svolgersi delle cose davanti all’obiettivo. La capacità di cogliere momenti fortuiti è un istinto, non è mai stato un processo strutturato.
Gli anni passati a fotografare la strada hanno cambiato e fanno evolvere il mio intuito e la capacità di documentare quegli istanti imprevisti in continuazione. Ho soltanto scalfito la superficie.
di Livia Corbò
Ha collaborato Marta Cannoni