31 Gennaio 2019 di Vanessa Avatar

Giorgia Fiorio

La fotografia non imita né descrive realtà. La fotografia interroga. E in questa dimensione enigmatica dell’universo reale e immaginario in cui è immerso l’uomo essa contribuisce alla costruzione dei significati.
La ricerca fotografica di Giorgia Fiorio gravita attorno all’Umano, una dimensione in cui l’individuo non appare come “essere sociale”, portatore di valori e significati culturali condivisi, ma nella relazione tra il suo essere fisico, il suo agire e la sua dimensione spirituale. «Ho sempre pensato alla fotografia come presenza immanente nel mondo, in grado di produrre significati, e non come visione fugace. Sono per natura una persona molto rigorosa, abituata ad approfondire. Quindi prima di misurarmi sul campo ho voluto prepararmi», spiega. Aveva poco più di vent’anni e una carriera musicale e cinematografica in ascesa quando ha deciso di spegnere i riflettori su di sé per accenderli lei stessa su ciò che più le interessava. Così è volata a New York, dove ha frequentato l’International Center of Photography. Qui ha scoperto il fascino dell’astrazione del bianco e nero e la matericità del negativo di medio e grande formato, diventati elementi costanti della sua pratica artistica. L’esplorazione di Fiorio sull’Umano comincia con il progetto Uomini, una ricerca durata dieci anni, dal 1990 al 2000, su alcune comunità chiuse maschili occidentali, dai legionari ai toreri spagnoli fino ai minatori ucraini e agli uomini di mare. Un lavoro dalle premesse documentarie che nel prendere forma rivela una vigorosa vocazione umanistica, mostrando la contraddizione tra l’apparenza forte e temprata, radicata nell’immaginario collettivo, dell’uomo-maschio, e la sua interiorità fragile e vulnerabile su cui incombe un destino tragico.

Giorgia Fiorio e il suo percorso fotografico

«In queste comunità i legami sono molto saldi e vengono rinforzati da riti iniziatici e formativi, spesso estremi che mettono gli uomini a diretto contatto con la morte. Il forte bisogno di appartenenza al gruppo riguarda principalmente gli uomini. Le donne, eccetto quelle che hanno rinunciato alla maternità, come le religiose e le prostitute, non sentono questa necessità corporativa perché capaci di procreare e, dunque, incarnano nel loro genere il principio stesso della comunità. Inoltre mi interessava approfondire il confronto  dell’uomo con il suo apparire». L’esplorazione della dimensione trascendente dell’Umano prosegue nel progetto Il Dono, realizzato dal 2000 al 2010 in diversi Paesi del mondo, incentrato sulla relazione tra l’individuo e il Sacro. «Sono partita dall’idea che credere sia un dono, ma in corso d’opera ho capito che c’era molto di più dietro questo concetto. Esplorando la sfera della spiritualità mi sono resa conto che le immagini raccolte erano, in realtà, molto fisiche e carnali. Uno scarto dovuto al fatto che la materia del corpo è la testimonianza del mistero dell’esistenza, della vita e della morte, che si manifesta attraverso pratiche corporee come il sacrificio, la purificazione, i riti dell’offerta e del ringraziamento in cambio di qualcosa. E l’oggetto di questo scambio, il dono, è la vita, quella della terra che dà i frutti, e quella umana», spiega Fiorio. In questo articolato percorso, la fotografia «(…) è lo strumento che riesco a controllare meglio per portare alla luce la dimensione interiore delle cose, che è invisibile, traendola dall’ombra. Essa non replica la realtà ma produce nuova conoscenza. In questo processo io sono solo un tramite, cerco di annullare il più possibile la mia presenza, perché so che il mio giudizio è limitato rispetto a qualsiasi forma di espressione artistica». Per Giorgia Fiorio, dunque, la fotografia è un percorso di vita totale, un modo di interrogare la realtà dentro e fuori di sé, per cogliere l’evoluzione dei significati ed elaborarne di nuovi, trascendendo i confini geografici e temporali della storia e del mondo.

 

Lascia un commento

qui