Phôs (φῶς, luce) e graphé (γραφή, scrittura) stimolano le mie reminiscenze di greco studiato al liceo, perché declinando al genitivo la luce si ottiene phōtós graphé: scrittura di luce. In questa parola composta si nasconde la magia della fotografia. È l’azione del fotografo: scrivere con la luce. Per inesorabile conseguenza, la luce scrive sul fotogramma utilizzando il suo opposto: l’ombra. Luci e ombre sono i “pennelli”, ideali nel pensiero ma reali nell’osservazione, che il fotografo utilizza per dare forma e personalità, profondità e prospettiva a tutto ciò che colpisce occhio e pensiero nell’azione di guardare.
Tempi e diaframmi
Avendo a disposizione questi due pennelli, il fotografo deve trovare la sostanza con cui infondere vita e anima all’immagine. Questa sostanza è formata da due componenti: il tempo con cui imprimere l’intensità di luci e ombre sulla pellicola (oggi sul sensore) e la profondità di campo, che determina l’ampiezza e nitidezza dei dettagli che, dal primo pia- no all’infinito, l’autore desidera evidenziare nell’immagine. Nella mia visione della fotografia, tempi e diaframmi rappresentano l’Alfa e l’Omega della tecnica necessaria per governare qualsiasi sfumatura di luce e qualsiasi dettaglio in un’inquadratura fotografica. L’unica cultura e abilità tecnica richiesta al fotografo è la capacità di miscelare tra loro – armonicamente o per contrasto – questi due parametri, che sulla fotocamera si gestiscono con il tempo di posa e con il diaframma. Il primo determina la quantità e intensità luminosa che andrà a impressionare il sensore (o lapellicola); con il secondo è possibile modificare l’ampiezza della messa a fuoco, cioè lo spazio entro il quale ogni piano e dettaglio sarà nitido e leggibile dall’occhio.
Provare e riprovare
A mio parere, è indispensabile che ogni aspirante fotografo si eserciti, per anni, a misurare e valutare ogni scena che osserva quotidianamente, assegnandole mentalmente un tempo e un diaframma specifici in base a ciò che, fotografando quella determinata scena, vorrebbe ottenere. Solo in questo modo si può divenire esperti nell’arte di scrivere con la luce, perché, padroneggiando nella mente ben prima che sui controlli della fotocamera quanta luce/ombra e quanta profondità di campo possono rendere emozionale un’immagine, si impara a usare i pennelli della fotografia con abilità. Esattamente come il pi tore impiega anni prima di trovare le giuste combinazioni di colori per ottenere “quella” sfumatura, o il letterato per dare, usando infinite combinazioni di parole, la giusta enfasi a un pensiero scritto. Chiunque vi racconti che questa indispensabile, lunga e faticosa esperienza si può velocemente e allegramente bypassare con il magico ausilio dei software, che oggi sembrano essere la “via facile” alla fotografia emozionale, è un ciarlatano. Magari è un bravissimo manipolatore di immagini e ut lizzatore di alchimie digitali, ma non uno che “scrive con la luce”. Perché il risultato ottenuto, ancorché a volte piacevole, non apparterrà alla vostra capacità fotografica e soprattutto sarà un’elaborazione grafica, non una fotografia.
Giornalista e fotografo, esploratore e grande viaggiatore, ha realizzato molte spedizioni e centinaia di reportage, in ogni continente, per la stampa italiana e internazionale, e ha pubblica- to una quindicina di libri dedicati al viaggio e alla fotografia. È direttore responsabile della rivista TREKKING&Outdoor, una delle testate più qualificate nell’ambito del turismo responsabile. Docente Master alla Nikon School Travel, organizza corsi e workshop di fotoreportage in Italia e all’estero. Autore, regista e conduttore di progetti televisivi dedicati all’esplorazione, ha realizzato numerosi documentari e videoreportage. Dal 2018 è coordinatore delle Photography Expeditions del National Geographic, e accompagna come Tour Leader alcune Photography Experience nei luoghi più affascinanti del pianeta.