8 Ottobre 2020 di Redazione Redazione

Adam Cooper ha una carriera di successo come tecnico video in campo cinematografico, ha lavorato su più di quaranta film e innumerevoli documentari, pubblicità e video musicali. Nel suo tempo libero, tra una produzione e un’altra, il suo secondo lavoro è quello di custode e curatore dell’archivio del padre Michael, una raccolta di immagini realizzate tra l’inizio degli anni ’60 e il 1973, anno della prematura morte del fotografo, a soli 31 anni.

Per via del rapporto stretto con Rolling Stones e Beatles, Michael Cooper è spesso indicato come “il fotografo dei musicisti”, ma l’estensione della sua opera supera questa definizione: è più giusto considerarlo una figura eclettica della scena artistica della Londra degli anni Sessanta, affermatasi con rapidità in risposta al movimento statunitense della Pop Art. Uno dei momenti più alti della scena londinese fu la collaborazione che produsse la copertina dell’album dei Beatles Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band (1967), concepita dagli artisti Peter Blake e Jann Haworth e fotografata da Michael Cooper nel suo studio di Chelsea. L’anno successivo Cooper realizzò anche la copertina di Their Satanic Majesties Request dei Rolling Stones.

Accanto a queste fondamentali commesse, si staglia la produzione di Cooper nel reportage: ritratti intimi delle principali figure di artisti, musicisti e scrittori e testimonianze delle grandi manifestazioni pacifiste alla convention del Partito Democratico a Chicago e all’ambasciata statunitense a Londra.

La cantautrice britannica Marianne Faithfull, fotografata nel 1967. © Michael Cooper

La cantautrice britannica Marianne Faithfull, fotografata nel 1967.
© Michael Cooper

Adam, deve essere emozionante vedere come, a tre decenni dalla pubblicazione, “Blinds & Shutters” – la raccolta degli scatti di tuo padre che per USA Today è “The most stupendous rock & roll picture book ever assembled” – interessi ancora tante persone! Lo è, eccome! Genesis Publications, mi ha contattato proprio di recente per dirmi che era il trentesimo anniversario del libro e il quarantesimo della fondazione della casa editrice e per chiedermi se fossi pronto a cedere le copie rimanenti (ne avevo trattenute diverse centinaia). Ho accettato e sono andate davvero molto bene. Adesso stiamo organizzando una piccola mostra, in quattro o cinque nazioni. È incredibile che a trent’anni di distanza ci sia ancora tanto interesse per quel libro, che è tutto basato sulle idee di Michael. Io ho ricevuto il suo archivio in vecchie scatole di cartone, senza nessuna protezione per i negativi. C’erano anche molte carte e ho trovato una nota in cui illustrava il concetto di Blinds & Shutters e come avrebbe voluto che fosse. All’epoca in cui è stato pubblicato, i libri di fotografia erano in maggior parte “libri da tavolino”, con immagini a tutta pagina, a mezza pagina e a un quarto di pagina – noiosi e conservatori. Per Blinds & Shutters, Michael voleva che le persone parlassero di quello che stavano facendo nelle immagini e del loro rapporto con lui. Ho seguito le sue idee alla lettera, ho bussato alla porta dei principali editori commerciali di Londra. Erano tutti molto interessati, ma di fatto volevano produrre un libro sui Beatles o sui Rolling Stones. Non era questa l’idea di Michael: voleva immergersi nella sua produzione e tirare fuori immagini di tutte le cose che aveva seguito. Come ad alcuni attori capita di rimanere intrappolati in un personaggio, anche a lui è rimasta appiccicata addosso la fama di fotografo musicale – cosa che in effetti era, ma allo stesso tempo si è occupato anche di così tante altre cose che meritano di essere viste! Solo quando ho conosciuto la Genesis, che produce esclusivamente edizioni limitate, ho incontrato persone che hanno capito davvero cosa cercavo di fare e disposte a prendersi il rischio di pubblicare quel libro, come lo volevo. Ci è voluto molto, molto tempo. Ho cercato un editore per sette anni. Poi, con nostri enormi gratitudine, piacere e stupore, Blinds & Shutters ha fatto il botto. Chiunque ne abbia vista una copia ne è stato conquistato – e non ho mai letto una recensione negativa.

Il cantante dei Rolling Stones, Mick Jagger. © Michael Cooper

Il cantante dei Rolling Stones, Mick Jagger. © Michael Cooper

L’archivio di Michael raccoglie 70.000 immagini. Ti sei trovato un vero lavoraccio tra le mani… Ha occupato due anni del mio tempo libero, ogni attimo in cui non lavoravo. Man mano che setacciavo la raccolta, mi rendevo conto di avere oro tra le mani… La meraviglia del lavoro di Michael, anche se tutti pensano sempre alle sue due copertine, è che al 99,99% non era su commissione: era lui a mettersi nel posto giusto al momento giusto! Aveva carisma e faceva amicizia in fretta, le persone erano rilassate con lui e lo ammettevano in situazioni cui gli altri fotografi non avevano accesso. Di conseguenza le immagini sono molto intime e discrete, non si avverte la presenza del fotografo. Keith Richards racconta spesso che metà delle volte la band non si accorgeva nemmeno che Michael stesse scattando foto. Aveva questa capacità di essere semplicemente lì in giro mentre registravano. Loro facevano il loro lavoro e lui il suo.

Michael era famoso per le sue stampe. Le sue opere avevano un aspetto molto distintivo. È stato difficile preservarlo quando hai passato allo scanner ed elaborato i negativi per “Blinds & Shutters”? Mio padre era davvero bohémien. Poteva studiare un’immagine per quelle che sembravano ore prima di arrivare al provino. Sceglieva cosa fosse meglio per il suo stile e il suo aspetto. Quando finalmente arrivava alla stampa e ne era soddisfatto, la appendeva al muro ad asciugare. Poi prendeva il negativo e lo buttava in una scatola di cartone sempre aperta: “Ho finito, passo ad altro”. Non si preoccupava di proteggere i negativi. Io cerco il più possibile di non toccare i negativi, che ormai hanno più di cinquant’anni. Se devo produrre foto per un libro o stampe per una mostra, in genere vado in laboratorio, catturo le immagini tramite scanner a tamburo e poi rimetto i negativi nelle custodie e non li tocco più. Rimuovo macchie e segni in Photoshop prima di andare in stampa e apporto le correzioni necessarie per arrivare all’aspetto che Michael avrebbe voluto. Ho una trentina di sue stampe originali e le uso come riferimento. Sono il portavoce del suo stile perché non l’ha mai cambiato – e non sarò certo io a farlo.

Montaggio di ritratti di Andy Warhol, 1966. © Michael Cooper

Montaggio di ritratti di Andy Warhol, 1966. © Michael Cooper

Costretto a scegliere, quale delle due copertine preferisci tra “Sgt Pepper’s” e “Their Satanic Majesties Request” degli Stones, l’altro capolavoro di tuo padre?

Mi piacciono entrambe, ma se proprio dovessi scegliere direi Sgt Pepper. Quello che hanno fatto Peter, Jann e Michael è eccezionale. Cinquant’anni dopo è ancora considerata una delle più straordinarie copertine di album. La cosa curiosa delle due copertine, in particolare di Sgt Pepper, è che nessuno parlò mai di soldi. Fu una collaborazione. Tutti volevano fare il miglior lavoro possibile per promuovere l’album e nessuno pensava ai soldi. Se fai una cosa che ami, che c’entrano i soldi? A quei tempi, Michael era spiantatissimo. Era sempre a corto di denaro, ma la cosa non sembrava disturbarlo molto, era parte della vita. Beatles e Stones non valevano quanto adesso, ma avrebbe comunque potuto dire “Va bene, adesso è il mio turno di fare qualche soldo”, ma non se ne preoccupò mai. Gli bastava poter essere creativo e fare quello che amava.

Di Michael è spesso celebrata la qualità “cinematografica” di alcune sue foto… Be’, sì, certamente era una sua aspirazione. Credo però che fosse in una fase in cui, se mai avesse dovuto fare qualcosa associato all’industria cinematografica, avrebbe dovuto essere scritto, diretto e idealmente anche fotografato da lui stesso. Per esempio, passò molto tempo sul set di Sadismo, un film del ’70 con protagonista Mick Jagger. Era lì per vari motivi, non necessariamente per scattare foto, ma anche perché voleva imparare dal regista Nicolas Roeg e da tutti i talenti coinvolti in quella produzione.

Michael Cooper

Michael Cooper con il figlio Adam.

(qui con il piccolo Adam) Fotografo inglese, classe 1941, Michael è ricordato soprattutto per le sue fotografie ai più importanti musicisti rock degli anni Sessanta e primi anni Settanta – in particolare per le tante immagini dedicate ai Rolling Stones. La sua opera più nota è la foto di copertina dell’album Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band (1967) dei “rivali” storici degli Stones, i Beatles, capolavoro non solo musicale ma anche di graphic design. La bambola di pezza che compare nella cover, raffigurante Shirley Temple con indosso una maglietta con la scritta “Welcome The Rolling Stones”, apparteneva proprio al figlio Adam (avuto da Rose, modella e musa del fotografo). Indimenticabile anche la copertina di Their Satanic Majesties Request, LP degli Stones del 1967 . È grazie all’incontro con Robert Fraser, nel 1964, che Michael ha potuto conoscere, frequentare e fotografare figure di primissimo piano della musica, dell’arte e della letteratura, tra cui – oltre ai Beatles e ai Rolling Stones – Marianne Faithfull, Eric Clapton, Cecil Beaton, Andy Warhol, Jann Haworth, Peter Blake e David Hockney, William S. Burroughs, Jean Genet, Terry Southern e Allen Ginsberg. Nei suoi ultimi anni, Michael era attratto da cinema e sceneggiatura e coltivava un progetto: la pubblicazione di un libro antologico. Lo concepiva come un libro di fotografie, arricchito dai contributi dei soggetti degli scatti, e pensava di intitolarlo Blinds & Shutters. Con l’aiuto degli amici del padre, nel 1990 Adam ha realizzato questo desiderio, con un volume in tiratura limitata e numerata edito da Genesis Publications. Finito in una spirale di depressione e di dipendenza dall’eroina, Cooper si suicidò nel 1973, a soli 31 anni, lasciando una toccante lettera al figlio Adam, allora di otto anni, con le motivazioni che avevano portato al suo gesto estremo.

Puoi trovare l’intervista completa su Digital Camera Magazine #208 in edicola, oppure qui in versione digitale!

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