31 Maggio 2019 di Vanessa Avatar

Angelo Cozzi, figlio di un negoziante all’ingrosso di droghe e coloniali di Milano, nasce nel capoluogo meneghino nel 1934. Appassionato fin da piccolo all’elettricità e ai suoi segreti, al momento di iscriversi alla scuole superiori riuscì a evitare gli studi da ragioniere auspicati dal padre in prospettiva della conduzione dell’azienda di famiglia, e si iscrisse all’Istituto Tecnico Feltrinelli dove appunto tra le materie c’erano elettricità ed elettronica. Qui uno degli incubi di Angelo diventa un’esercitazione di aggiustaggio, durante la quale doveva trasformare, a colpi di lima, un approssimativo cubo di metallo fino a fargli avere tutte le facce pianoparallele. Dopo un anno quel cubo «finì fuori dalla finestra» e Angelo si iscrisse nella scuola che si trovava di fronte all’istituto Feltrinelli dove si insegnava una materia, la fotografia, che poi avrebbe segnato il resto della sua vita. La scuola si trovava nel quartiere ticinese e, nelle vicinanze, c’era la sede dell’Agenzia Farabola, i cui uffici avevano delle vetrine sulla strada dove venivano esposte quotidianamente immagini di cronaca, davanti alle quali Angelo si fermava sempre. Un giorno, preso il coraggio a due mani, entrò e chiese di poter lavorare come fotografo. Lo convocarono la domenica successiva per fotografare un incontro di calcio, gli consegnarono un apparecchio e una sola lastra per tutta la partita e lo spedirono dietro una porta con la consegna di scattare solo in caso di goal. In seguito fu chiaro che quella era la porta in cui non avrebbero mai segnato e da allora Cozzi, che nella sua carriera ha fotografato davvero di tutto, ha iniziato a non vedere di buon occhio il calcio, tanto da pretendere che nei suoi contratti fosse inclusa una clausola che non permetteva all’editore di inviarlo a fotografare una partita.

Angelo Cozzi: l’arte del travestimento

L’inizio della carriera del giovane Cozzi prosegue con frequenti incursioni nei depositi di tram milanesi, dove aveva il compito di fotografare le vetture danneggiate a causa di incidenti per fornire una documentazione a supporto delle richieste di rimborso alle assicurazioni. Andò avanti in questo modo fino al novembre del 1951, quando la catastrofica alluvione del Polesine lo vide, ad appena diciassette anni, inviato sui luoghi del disastro. Cozzi partì vestito da boy scout, prevedendo, con una malizia da professionista rotto a qualsiasi esperienza, che in quel modo sarebbe riuscito a confondersi meglio con i soccorritori. Ma questa non è stata l’unica operazione di travestimento di cui Cozzi sia stato protagonista. Durante il servizio militare in Marina ricevette un permesso per recarsi in vacanza in Egitto. In realtà, si era in piena Guerra Fredda, il suo compito era, fingendosi un turista, quello di riprendere tutte le unità navali sovietiche in transito nel paese arabo. Sempre negli anni ’50 era all’aeroporto di Ciampino accompagnato da una Rolleiflex con le lenti addizionali per fotografare i documenti di uomini d’affari e turisti provenienti dall’Est. Erano altri tempi e per l’epoca si trattava del massimo della tecnologia applicata al controllo degli spostamenti di soggetti considerati potenzialmente pericolosi. Nel clima teso della Guerra Fredda, nel 1956 Cozzi andò in Ungheria, subito dopo la rivolta antisovietica. Ufficialmente era un accompagnatore della squadra di nuoto. Il reportage che ne scaturì, pubblicato da Epoca, trascurava gli avvenimenti sportivi ma raccontava una nazione vessata e povera, offrendo un quadro non gradito dal regime. Infatti per far uscire dall’Ungheria i rulli esposti, Cozzi li nascose nella biancheria da lavare dell’olimpionica Elena Zennaro, che poi sarebbe diventata sua moglie.

Angelo Cozzi e la borsa del farmacista

Al di là delle capacità di fotografo, Cozzi è sempre stato noto nell’ambiente per la meticolosità al limite del maniacale con la quale ha sempre preparato i suoi viaggi. Famosa era la sua borsa del pronto soccorso, all’interno della quale riusciva a stipare una cinquantina di medicinali selezionati per far fronte alle principali evenienze che si sarebbero potute verificare durante un viaggio di lavoro. Sembra che parecchi colleghi gli debbano essere riconoscenti per questa sua capacità di avere sempre il medicinale giusto a portata di mano. Una volta, mentre era a Cuba, riuscì addirittura a curare dalle conseguenze di un’ustione una bambina che si era rovesciata addosso una pentola di acqua bollente. In quel periodo alcuni medicinali, come quelli destinati a curare le ustioni, non erano venduti nelle farmacie cubane, ma solo in quelle per turisti. Per questo la madre della piccola, conosciuta giorni prima, una mattina andò a cercarlo perché acquistasse per lei le medicine. Ma Cozzi invece di andare in farmacia si limitò ad aprire la sua borsa del pronto soccorso e a tirar fuori una pomata contro le ustioni.

Angelo Cozzi ha fotografato di tutto, perfino quell’odiato calcio grazie al quale ottenne una copertina de La domenica del Corriere, anche se lui afferma che «Quella copertina fu un caso». Noto per i reportage di guerra, i ritratti di adolescenti e le foto di viaggio, ha realizzato immagini spettacolari anche in campo aviatorio. Il primo lavoro in questo ambito è della metà degli anni Sessanta. «Il reportage – racconta Cozzi nel suo sito – testimoniava com’era organizzata la base di Grosseto, come si svolgeva il lavoro giornaliero della squadriglia. Volai sul Gran Sasso all’ora del tramonto e vidi ilsole sorgere dove avrebbe dovuto tramontare. L’aereo salì diritto, in candela come si dice, e più guadagnavamo quota, più il sole sembrava alzarsi sull’orizzonte invece di abbassarsi, come in ogni tramonto che si rispetti. In realtà eravamo noi a salire a velocità supersonica. Una bellissima esperienza che mi convinse a continuare». E infatti continuò, tanto da entrare in qualche modo a far parte del gruppo, sperimentando lo «spirito un po’ guascone» dei piloti. In volo su un velivolo da addestramento, un giorno il pilota gli affidò i comandi mentre l’aereo era in fase di salita. Quando un velivolo non ha più la velocità necessaria a generare la portanza, ovvero la forza che tiene in volo un aereo, va all’improvviso in stallo e inizia a precipitare. È una situazione tipica dell’addestramento dei piloti. Ma Cozzi pilota non era, ed è facile immaginare come si sia sentito quando l’aereo, raggiunto lo stallo, iniziò a perdere quota, finché il pilota, ripresi i comandi, non portò l’aereo in picchiata per riprendere velocità e portanza, scoppiando in una risata.

Immagine in evidenza Sophia Loren (Sofia Scicolone) su una terrazza mentre stringe un cucciolo. Madrid, 1960.

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