21 Novembre 2019 di Redazione Redazione

Nel suo primo progetto editoriale Photos Souvenirs (2016), Carolle Bénitah partendo dal proprio album di famiglia ha lasciato riaffiorare memorie in parte perdute della sua infanzia e adolescenza in Marocco, per proseguire con i diversi momenti (eventi straordinari o quotidiani) del suo vissuto di moglie, madre, ex moglie e artista in Francia.

Parlando proprio di dinamiche familiari, i lavori di Carolle Bénitah appaiono come una visualizzazione delle parole di Annie Ernaux in Gli anni, dove la costruzione di un presente in parte idealizzato (o comunque isolato nella rappresentazione della stabilità) è la prova rassicurante a uso e consumo di un fruitore che per lo più è un membro dello stesso clan familiare. Nel passaggio letterario, in particolare, sono i nonni i destinatari di quella foto in bianco e nero che ritrae una giovane donna con le guance sollevate in un gran sorriso che cinge con il braccio le spalle del bambino in pigiama, sopra un letto trasformato in divano. Una fotografia che è stata scattata dal marito, di domenica, l’unico giorno della settimana in cui stanno insieme.

«L’immagine è la testimonianza della costruzione di quella memoria comune in cui i protagonisti affermano di sentirsi, tutto sommato, felici», come afferma la scrittrice francese.

Carolle Bénitah e l’elogio della felicità

Intanto, l’elaborazione dell’elemento casuale (la foto trovata), attraverso una formula più astratta, opera una maggior libertà di sconfinamento dell’immaginazione. L’utilizzo dell’oro, in questo contesto, è fondamentale. Un colore che in tutte le religioni del mondo è simbolo dell’anelito spirituale di ricongiungimento con il divino, dal fortissimo potere evocativo e di sublimazione. Salvate dall’oblio, queste foto anonime scovate da Bénitah nei mercatini delle pulci sono investite di preziosità: coppie che ballano, cameriere con il loro grembiulino, momenti di spensierata condivisione durante un pic-nic. C’è anche chi è in posa accanto all’automobile o in sella al cavallo con un’apparente naturalezza, come quei bambini fotografati nello studio di un fotografo davanti al fondale dipinto con il triciclo o la presenza di un improbabile Babbo Natale.

Se da una parte l’oro cancella i volti dei soggetti, quindi la loro identità, dall’altra li svincola proprio da quell’unicità, trasformandoli in figure emblematiche. È presente anche l’intento protettivo della fotografa nel selezionare e prendersi cura di quei frammenti di apparente felicità che coglie nelle immagini d’altri tempi e che isola, attraverso l’astrazione della foglia oro, giocandoci (talvolta aggiungendo un pizzico d’ironia), per perpetuare all’infinito l’attimo fuggente. L’oro sancisce la preziosità di un momento misterioso e surreale che può appartenere alla realtà, così come alla costruzione immaginifica della storia.

di Manuela De Leonardis

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