10 Dicembre 2019 di giorgia Avatar

Stepanie Gengotti con il progetto Circus Love –  The magical life of Europe’s Family Circuses mostra la quotidianità dei piccoli circhi itineranti, concentrandosi sui legami affettivi che reggono l’equilibrio di queste comunità fuori dal tempo. Dopo il trionfo all’ottava edizione del festival Happiness ONTHEMOVE (ve ne avevamo parlato qui), l’abbiamo incontrata per capire come sia riuscita a tradurre l’intensità dei rapporti umani in immagini sapientemente costruite nella loro spontaneità.

Stephanie Gengotti e il progetto Circus Love

Come è iniziato il progetto Circus Love? «La redazione di un magazine femminile mi chiese di fare dei ritratti a due coppie di artisti del Cirque Bidon, un circo francese contemporaneo parte del movimento Cirque Nouveau, nato negli anni Settanta in contrapposizione al circo tradizionale. Circhi senza animali esotici e condotti da piccoli nuclei familiari. In scena, storie scritte da loro e raccontate anche attraverso la poesia di musiche originali. Ci si siede tra il pubblico, le luci si abbassano e si viene trascinati in un racconto ipnotico di suoni, acrobazie, danza e recitazione. Varcando la soglia di quel mondo diverso ebbi la sensazione di entrare in una bolla spazio temporale, come se l’orologio avesse smesso di scandire il tempo, per lasciare il passo a un’epoca sospesa e onirica. Mi coinvolse al punto di voler raccontare il sogno e la bellezza di un mondo girovago, lontano dalla velocità di un’esistenza eccessivamente tecnologica. Iniziai così la mia ricerca e scoprii una serie di festival europei che accoglievano le realtà dei piccoli circhi, come il festival di Avignone in Francia, o Tutti Matti per Colorno in Italia. La mia avventura è iniziata proprio da quest’ultimo».
Quanto di reale e spontaneo sei riuscita a fotografare di questi personaggi così abituati a indossare delle maschere e calcare i palcoscenici? «Amo il cinema e la messa in scena ne è la naturale conseguenza. Li coinvolgo condividendo con loro la tavola, le pause, parlando come fossi anch’io parte del circo, fino al risultato di una spontanea collaborazione dove set e costruzione dell’immagine altro non sono che la rappresentazione del loro vissuto. Si crea un’atmosfera di leggerezza e di gioco, come l’idea di far indossare i miei vestiti a uno di loro per un ritratto di gruppo, un modo per essere anch’io parte della storia. La messa in scena spesso viene però sorpresa dalla casualità di un momento inaspettato dove il controllo lascia spazio all’imprevisto».

L’approccio alla fotografia e i progetti futuri

Qual è stato il motivo che ti ha spinto a intraprendere questo lavoro? «Era il 1998 e per superare il grande dolore della perdita di mia sorella avevo deciso di fare la cosa che da sempre mi rendeva felice: viaggiare. Mi trovavo in Sud Africa quando, al tramonto su una spiaggia, ho visto un uomo in piedi su una scogliera e la sua ombra proiettata sulla sabbia. L’ho fotografato. In quel preciso istante ho capito che quello sarebbe stato il mio destino e che non avrei potuto fare altro. Poco dopo conobbi Erico Menczer, grande direttore della fotografia del cinema, che mi insegnò a osservare il mondo attraverso l’obiettivo e a comprendere la luce».

Come mai nei tuoi lavori ritorna spesso questa tua intenzione di rappresentare lo status di comunità? «Sono attratta dai nuclei familiari numerosi perché la mia è una famiglia numerosa, ma divisa dai cinque continenti. Non ho vissuto quel senso di protezione e aggregazione, il sentirsi parte di un nucleo così coeso. Forse è stata proprio la mancanza di questa condivisione ad accompagnarmi verso il naturale amore per le comunità».

A un lavoro sulla tua famiglia ci hai mai pensato? «Sì, è un’idea sulla quale sto riflettendo. Sarà un lavoro che ne ripercorrerà la storia, un percorso generazionale a ritroso che toccherà continenti diversi. Un progetto che però non ho ancora iniziato»

L’intervista completa di Francesca Orsi è presente nel numero 319 de Il Fotografo, ancora per pochi giorni in edicola! Per la versione digitale clicca qui.

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