La fotografia monocromatica sta ritornando prepotentemente in auge, con molte più possibilità creative.
I fotografi della generazione Kodachrome apprezzavano i colori intensi e abbastanza realistici, tanto che alcuni si sono chiesti cosa sarebbe successo se la fotografia fosse nata a colori: qualcuno avrebbe mai pensato di inventare il bianco e nero? Ora sappiamo che la risposta è sì. Dopo che per un paio di generazioni il colore è stato il default in fotografia, assistiamo adesso alla grande ripresa del monocromatico, che ha la prerogativa di scostarsi un po’ dalla realtà. Se in passato l’abbiamo inseguita nei colori molto saturi, abbiamo poi capito che il realismo non serve molto per l’espressione creativa; credo che sia questo che anima la nuova stagione del bianco e nero: non un nostalgico rimpianto del passato, ma l’offerta di uno spazio per l’immaginazione creativa più sottile e di più ampio respiro.
Due sono le grandi differenze rispetto al passato: primo, esistono oggi ampie possibilità nel convertire in scala di grigi la luminosità di ogni singolo colore, possibilità molto superiori a quelle dei filtri Wratten del cui uso Ansel Adams era maestro; secondo, è possibile scegliere il bianco e nero in qualsiasi momento, da quello dello scatto a molto dopo. Questo aumenta l’importanza di questa decisione: quando e perché dovremmo convertire in bianco e nero? Si può probabilmente affermare che il fatto che il colore sia universalmente disponibile, con gli eccessi che ne sono derivati, abbia dato al bianco e nero quasi uno status di raffinatezza e di controllo creativo. Come ha detto Cartier-Bresson: «La fotografia in bianco e nero rende le cose astratte e questo mi piace».