18 Febbraio 2017 di mauro Avatar

La fotografia di sport è un genere emozionante e Bob Martin è un vero “campione” di reportage sportivo. Difficilmente si riesce a trovare una disciplina che Bob non abbia fotografato. Ha ricevuto più di 60 riconoscimenti nazionali e internazionali, tra cui Il World Press Photo nel 2004. Nel 1988 ha seguito la sua prima Olimpiade a Seoul e da allora ha documentato tutte le edizioni dei giochi olimpici sia invernali sia estivi. Martin ha lavorato 20 anni per Sports Illustrated e ha pubblicato sulle testate di maggior prestigio al mondo tra le quali Time, Newsweek e Stern e poco tempo fa, l’agenzia fotografica SilverHub Media lo ha nominato Direttore della Divisione Fotografica.


Per essere qualcuno che ha ignorato lo sport durante tutta la sua gioventù la tua vita è profondamente legata al mondo sportivo. Quando eri bambino, qual era il tuo hobby?
Direi senza dubbio la fotografia. Avevo quattordici anni quando ho preso in mano per la prima volta una macchina fotografica. Ero affascinato dalla camera oscura – a quei tempi non esisteva il digitale – da come le immagini apparivano sulla carta immersa nelle bacinelle piene di acidi…
Nemmeno ora ti sei appassionato a qualche sport?
Poco e assolutamente in modo poco “sportivo”. Sono stato di “peso” nella squadra di rugby locale, mi piaceva giocare a squash quando avevo vent’anni, ma non sono mai stato un appassionato sportivo.
Hai studiato fotografia a scuola?
No, pensavo che sarei diventato veterinario… per guadagnare qualche soldo andai a fare l’assistente in una grossa agenzia che si occupava di servizi di matrimonio e fotografia industriale.
Qual è stato il primo lavoro importante?
In un certo senso quando il Surrey Comet ha pubblicato una mia immagine di un moto da trial. Non ho guadagnato un centesimo, solo la soddisfazione di vederla pubblicata. Ma è stato l’inizio di tutto, tra l’altro questa pubblicazione non ha portato direttamente a nessun lavoro come reporter però ha preparato il passo successivo: era il 1979 e fui contattato dall’agenzia Allsport come addetto alla camera oscura. Avevo un buon curriculum come stampatore e mi piaceva lavorare in camera oscura.
Quanto tempo è passato prima di poterti definire veramente un fotografo professionista?
Ho iniziato a fotografare quasi subito, erano molto contenti se il weekend andavi in giro per scattare qualche immagine interessante. Dopo poco tempo però ho trovato lavoro in un’altra agenzia, la Sporting Pictures, per poi tornare da Allsport, dove mi hanno finalmente accolto come reporter… Era il 1988, l’anno delle Olimpiadi di Seoul, le mie prime Olimpiadi in assoluto.
Se devi scegliere, cosa preferisci: Wimbledon, Olimpiadi o Coppa del Mondo di calcio?
Penso che le Olimpiadi siano l’evento che mi è più congeniale. Mi piace il calcio, anche se non sono un vero tifoso come la maggior parte della gente che va allo stadio.
Qual è stata l’edizione Olimpica più importante tra quelle a cui hai potuto partecipare?
Barcellona 1992. è stato come essere a teatro: ho scattato l’immagine di un tuffatore con lo skyline di Barcellona sullo sfondo. Sono stato il primo a scattarla, molti mi hanno copiato successivamente.
Se dovessi usare un solo obiettivo, quale sceglieresti?
Non ho dubbi, il 400mm f/2.8 è un “must” per i fotografi di sport.  Se sei specializzato in fotografia sportiva e devi preparare la borsa con la tua attrezzatura, al novanta per cento metti prima il 400mm e poi aggiungi il resto.
Quanti scatti cancelli dopo ogni shooting?
Tantissimi! Scattare immagini di sport significa fotografare e scartare. Non puoi pensare “Ho scattato l’immagine vincente, ho finito il mio lavoro”.
Qual è la cosa più importante che hai imparato?
La cosa più importante me l’ha insegnata la collaborazione con Sports Illustrated, ovvero che bisogna cercare sempre la foto con la massima qualità tecnica e stilistica. Mi ha insegnato a “dare la caccia” all’immagine migliore senza tregua e senza preoccuparmi della quantità di scatti che realizzo.
Tra tutti i tuoi lavori, qual è stata per te la sfida più impegnativa?
Non è facile dirlo. Forse le Paraolimpiadi del 2004, quando ho scattato la foto del nuotatore,
che ha lasciato le sue gambe artificiali fuori dall’acqua dietro il trampolino di lancio prima di tuffarsi.
Qual è stata la tua esperienza più imbarazzante?
Ero a Göteborg per i mondiali di atletica nel 1995. Kim Batten aveva appena finito i 400 metri a ostacoli battendo il record del mondo. Mi sono avvicinato di fronte a lei con un grandangolare e il flash per scattare alcune immagini mentre celebrava il suo trionfo e mi sono dimenticato che non avevano ancora rimosso gli ostacoli. Ci sono finito addosso, sono cascato. Speravo di essere passato inosservato ma invece la folla ha iniziato a esultare, i miei colleghi erano tutti intenti a fotografarmi mentre raccoglievo i pezzi della mia fotocamera. Posso dire con “orgoglio” che Eurosport ha montato la sequenza a rallentatore avanti e indietro mentre cadevo e mi rialzavo con i pezzi della mia fotocamera…
Quali sono i più grossi cambiamenti che hai visto nella tua professione?
Il più grande cambiamento è molto recente e si tratta della caduta a picco dei budget disponibili per realizzare un servizio fotogiornalistico. Sports Illustrated, ad esempio, investiva tantissimo in fotografia ma ora i budget sono veramente esigui… la professione del fotografo sportivo sta lentamente morendo.
Qual è il miglior consiglio che puoi dare a chi sta iniziando oggi?
Di cercare un lavoro presso le agenzie di stampa più famose. Odio dirlo, ma per costruire una carriera oggi si deve contare su ingaggi importanti. Inoltre ai giovani fotoreporter suggerisco di avere elasticità e pazienza. Se io iniziassi la professione oggi non potrei più lavorare come vorrei e non potrei certo gestire la mia attività come ho fatto trent’anni fa…

Bob Martin


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