Cosa si cela dietro tante fotografie diventate memoria collettiva?

24 Dicembre 2019 di Vanessa Avatar

La grande foto è l’immagine di un’idea

«Per un vero fotografo una storia non è un indirizzo a cui recarsi con delle macchine sofisticate e filtri giusti. Una storia vuol dire leggere, studiare, prepararsi. Fotografare vuol dire cercare nelle cose quel che uno ha capito con la testa. La grande foto è l’immagine di un’idea.» Tiziano Terzani
Cosa si cela dietro tante fotografie diventate memoria collettiva? Momenti irripetibili, immagini costruite ad arte, sintesi di un progetto o incredibili casi. Abbiamo cercato e ricostruito i retroscena di alcune tra le icone più conosciute, svelando la storia di ognuna.

La fotografia ha cambiato la memoria visiva dell’umanità

La fotografia ha cambiato la memoria visiva dell’umanità. Attimi amplificati, celebrati, ammirati; a volte piccoli episodi diventati ricordi collettivi, altre volte fotografie testimoni di fatti importanti, eventi storici, o quotidianità apparentemente marginali, ma che riempiono le nostre vite. Quante volte, come con una canzone, sappiamo riconoscerla, ma non ne conosciamo l’autore o come sia stato possibile che quello scatto, quel frammento del tempo, sia giunto fino a noi? Perché quella fotografia e non un’altra entra a far parte di una memoria collettiva o dello stile di un’epoca? È il mondo della comunicazione che la impone o il riconoscersi della società in un evento o, a volte, semplicemente in un ritratto?

Una selezione di immagini storiche

Carlo Naya Venezia, 1860 ca – © Carlo Naya/ Wikimedia Commons

Piazza San Marco a Venezia è tra le vedute più conosciute al mondo. Questa fotografia riassume con la sua perfezione compositiva la lunga scuola vedutista veneziana, ma allo stesso tempo la rinnova. È stata scattata intorno al 1860, periodo in cui la fotografia esce dalla prima fase più sperimentale per definirsi come nuovo mezzo di comunicazione, inserendosi perfettamente nello spirito del tempo. L’Ottocento è il secolo dell’evoluzione della società industriale e l’industria inizia a produrre per la fotografia: è un nuovo modo di vedere il mondo che conosce una rapidissima espansione. L’ Italia, sia per i viaggi di studio sia per il turismo d’élite dedito al Grand Tour, offre itinerari nelle città d’arte e nei contesti naturali e paesaggistici. In questo contesto la fotografia diventa un souvenir a costi accessibili: oltre agli apparecchi e agli obiettivi, diventano disponibili sul mercato lastre pronte all’uso, carte sensibili e altri materiali chimici. I turisti comprano stampe singole, album e ricordi fotografici che trovano facilmente in vendita nei negozi specializzati e anche dai venditori ambulanti. La veduta fotografica sostituisce l’incisione e in Italia si aprono molti atelier specializzati in panorami, riproduzioni d’arte, folklore. A Venezia uno tra i più noti è quello di Carlo Naya. Apprezzato per la qualità delle sue riprese e delle sue stampe organizzò il suo stabilimento come una piccola industria con molti assistenti e rappresentanze in Italia e all’estero.

Nadar  Sarah Bernhardt 1864 – © Nadar/ Wikimedia Commons

Nadar era famoso soprattutto per i suoi ritratti. La sua capacità di calibrare le luci rendendole morbide e al tempo stesso precise, aspettando per lo scatto che l’atteggiamento del soggetto divenisse spontaneo e confidenziale, lo resero inimitabile. Il fondale, spesso un semplice telo, insieme all’uso di cappe e mantelle, permetteva giochi di ombre che esaltavano la profondità dei chiaroscuri rendendo i suoi ritratti unici, come in questo di Sarah Bernhardt.

Mathew B. Brady  Soldato zuavo ferito 1865 – © Mathew Brady/ Wikimedia Commons

La guerra diventa reale anche agli occhi di chi è lontano dal fronte. Questa fotografia, scattata da Brady durante la Guerra civile americana (1861-1865) mostra il conflitto per quello che è, senza poesia. Anche la motivazione di Brady aveva ben poco di poetico o ideale. Dagherrotipista, ritrattista apprezzato dell’alta società, lascia il suo studio di New York e si avvia verso Sud, dove si combatte. Vuole ritrarre i soldati per poi vendere loro le fotografie, souvenir dalla prima linea. Rientrato a New York organizza nel suo atelier “The dead of Antietam”, un’esposizione di fotografie dal fronte. Il pubblico ne sarà sconvolto, vedendo feriti e morti reali, non idealizzati e dipinti secondo i canoni accademici. I giornali accusarono Brady di non preoccuparsi che i visitatori potessero riconoscere in quei cadaveri i loro cari. Ma gli stessi giornali usarono le sue fotografie per trarne delle illustrazioni.

Felice Beato  Il medico e il paziente, 1868 – © Felice Beato/ Wikimedia Commons

Nella lunga storia delle fotografie non possono mancare le “scenette di genere” prodotte su grande scala da Felice Beato in Giappone a metà del XIX secolo, tra il 1863 e il 1885. Fotografo viaggiatore, forse il vero primo fotoreporter, i suoi itinerari lo condussero prima in Russia, a Pietroburgo, Kiev, Mosca, poi in Crimea sulle orme di Roger Fenton, per documentare la guerra, in seguito, in nord Africa, in medio oriente, in Cina e India, fotografando conflitti, paesaggi, popoli. Le sue immagini erano sempre una scoperta di mondi lontani per gli europei che si appassionavano ai suoi reportage. Il suo acume e la vena commerciale lo portarono fino in Giappone, un Paese ancora rigidamente chiuso verso l’esterno. Vi si stabilì con la libertà di fotografare l’impero del Sol Levante. Aprì un atelier, ideò un genere fotografico conosciuto come “scuola di Yokohama”: un’iconografia delle tradizioni giapponesi, dei mestieri, dei paesaggi. Fotografie che rendeva ancora più affascinanti con una tenue colorazione all’acquerello, donando alle sue immagini un gusto ancora più verosimile. Queste erano raccolte in album spesso finemente rilegati con copertine di lacca come fossero scatole giapponesi, o vendute singolarmente sia in Oriente sia in Occidente. Era quanto di più esotico si potesse vedere sul Giappone; le sue fotografie continuarono ad essere commercializzate in tutto il mondo per molti anni. Incredibilmente la storia della fotografia ne perse le tracce finché non fu riscoperto e studiato negli anni ‘80 del ‘900.

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