14 Marzo 2019 di Vanessa Avatar

Blow-Up si sviluppa in ventiquattro ore ed è la storia di un giovane e famoso fotografo di moda che rappresenterà un modello da imitare per molti.

Tutte le volte che mi è capitato di parlare con i fotografi, quelli veri, a un certo punto, il discorso cadeva su Blow-Up, il film di Michelangelo Antonioni .
Molti di loro avevano pensato di diventare fotografi dopo aver visto il film e la loro scelta non era un’assurdità perché Blow-Up fu un film epocale e fece scuola. I critici hanno versato fiumi di inchiostro per questo film ed è innegabile che  Blow-Up, espressione che significa ingrandimento, anticipi molte delle riflessioni sulla mancanza di senso del reale e sul senso dell’immagine. Questa pellicola, che appartiene alla storia del cinema, ha influenzato generazioni di fotografi e registi e consente ancora oggi di fare i conti con la nostra dimensione esistenziale, imprigionata in una realtà che ci sfugge e che si trasforma di continuo. La fotografia in quegli anni era ancora schiacciata tra i reportage dei giornali illustrati e i circoli dei fotoamatori e il dibattito teorico sulla fotografia e la società delle immagini era agli albori: l’osservatore, ancora ingenuo, si ostinava (e si ostina) a vedere nelle fotografie, il mondo stesso, ignorando che la riproduzione fotografica è un’illusione. Il film è ispirato a un racconto di Julio Cortazar, lo scrittore argentino di cui Pablo Neruda disse: «Chiunque non legga Cortazar è condannato». Carlo Ponti, il mitico produttore e marito della Loren, ne comprò i diritti per 4.000 dollari e poi spedì a Londra Michelangelo Antonioni e Tonino Guerra il suo sceneggiatore, dove trascorsero un bel periodo per cercare l’ispirazione per la vita di Thomas. Il regista, dichiarò di essersi divertito molto ed è immaginabile perché in quel momento la Swinging London era il posto giusto dove un artista doveva stare. Inizialmente il film si doveva girare in Italia, ma ci si rese ben presto conto che un protagonista così, nel nostro Paese, non esisteva ancora – sarebbe apparso circa una decina d’anni dopo con i vagiti del made in Italy –. Antonioni si convinse a girare a Londra, dopo aver visto un servizio fotografico sulla Swinging London, pubblicato sul Time e capì che Thomas poteva essere credibile solo vivendo lì. L’Inghilterra stava uscendo da anni di razionamento alimentare, di crisi economica e Londra, divenne l’epicentro della rinascita inglese. Il nuovo stile e la cultura del pop inglese, innescata dai Beatles, spazzò via l’immagine della città fumosa dove si muovevano rigidi omini con ombrello e bombetta. Antonioni e Blow-Up  contribuiranno a far nascere il mito della Londra che dominerà l’immaginario giovanile per anni. Il regista e lo sceneggiatore per tracciare il personaggio di Thomas sottoposero un questionario ad alcuni fotografi  di moda per capirne le abitudini. Seguirono anche alcune sessioni fotografi che nel loft casa-studio di John Cowan, uno dei fotografi  mito di quegli anni insieme a David Bailey, Arthur Evans e Therry Donovan, e decisero addirittura di porre lì il set della casa-studio di Thomas per le riprese. Il film ripropone bene l’atmosfera della Swinging London che, in questo senso, può essere oggi considerato quasi un documentario dell’epoca. Thomas, dopo essere tornato al parco di notte, il Maryon Park, dove oggi si trova una targa che celebra le riprese di Blow-Up , va a un concerto dove si esibiscono gli Yardbirds, quelli di Jimmy Page prima dei Led Zeppelin. La colonna sonora del film è di Harbie Hancock che in quel periodo faceva parte del mitico quintetto di Miles Davis.

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