14 Marzo 2020 di Redazione Redazione
Livia Corbò, giornalista, lavora in ambito fotografico da più di vent’anni, ha co-fondato l’agenzia Photo Op. In questa rubrica raccoglie le principali lezioni di umanità e lavoro di vari protagonisti del mondo dell’immagine. Critici, curatori, picture editor, fotoreporter, artisti, galleristi e allestitori raccontano in poche parole esperienze, scoperte, piccole e grandi lezioni di vita, passioni e avversioni maturate sul campo.

Maria Luisa Frisa

Maria Luisa Frisa, classe 1953, storica dell’arte, curatrice, cultrice e appassionata di moda, è stata consulente d’immagine per Giorgio Armani. Si è formata nella Firenze degli anni Ottanta, si auto definisce punk, anticonformista, curiosa, inquieta e onnivora, anche di fotografia. Dirige il corso triennale di Design moda e arti multimediali dell’Università IUAV di Venezia.

La parola a Maria Luisa. Una passione per la fotografia già da bambina

Il mio primo ricordo legato alle fotografie sono quelle nella casa dei miei nonni. Molte, disposte senza ordine e non con cornici pompose. Fotografia come memoria e appunto degli affetti. Sono nata a Venezia il 19 novembre 1953. Sono stata una bambina solitaria e un’adolescente ribelle. Insofferente. Sono cresciuta in una casa piena di quadri e fin da piccola sono andata a vedere le biennali e le mostre d’arte. Sono stata abituata a guardare immagini, dipinti. Le fotografie dei dipinti. I libri d’arte.
Ho studiato storia dell’arte, a Firenze, quando ancora si chiedeva agli studenti di esercitarsi con le attribuzioni. Tante fotografie. E tanti particolari. Un esercizio straordinario per abituarsi a riconoscere un autore da un particolare come una mano o addirittura un dito, o da una texture.

I riferimenti di Maria Luisa nel mondo artistico

La persona fondamentale per me, per la mia crescita professionale e la mia consapevolezza, è stato Mario Lupano. Che poi è diventato mio marito. Ma per diverso tempo siamo stati soltanto amici.
Lui ha apprezzato il mio modo strampalato di guardare le cose e il mio perdermi tra interessi molto diversi. Mi ha aiutato a mettere a fuoco quello che m’interessava, senza rinunciare alla mia personalità.

Armani Magazine

Una copertina del periodico edito da Giorgio Armani “Armani Magazine”. La foto è di Aldo Fallai


Rosanna Armani mi ha insegnato moltissimo. È lei che mi ha chiamato per fare l’Emporio Armani MagazineLei in quel periodo seguiva tutte le campagne fotografiche sia della Giorgio Armani che dell’Emporio. E io lavoravo a stretto contatto con lei e partecipavo anche alle riunioni con Giorgio per definire le campagne e quando veniva fatta la selezione delle immagini. Così ho imparato moltissimo su come si lavora con un fotografo, come si organizza una campagna e come si selezionano le immagini. Uno dei momenti più importanti era la scelta della foto di copertina del magazine che poi era anche quella del grande murales che era diventato punto di riferimento nella toponomastica della città di Milano. Uno dei primi murales fu l’immagine di Aldo Fallai di un maggiolino nelle vie di Pantelleria. Niente moda, niente persone. La magica atmosfera del viaggio e della vacanza. Un training formidabile. Molto formativo. Anche per quanto riguarda l’attenzione ai particolari e la ricerca della perfezione.

Il suo rapporto personale con le fotografie

Conservo le fotografie in scatole alla rinfusa e non scatto molte foto perché ho bisogno di guardare e assimilare, senza distrarmi. Sono onnivora di immagini e vado a momenti. Non sono legata a una sola immagine e non ne tengo sulla mia scrivania. Amo molto gli artisti che lavorano con la fotografia. E nel mio studio è appesa una immagine di Larry Clark della serie Tulsa.
Le immagini mi servono e fanno parte del mio modo di raccontare. Ho curato molti libri in cui il saggio visivo era il racconto e il saggio critico. Mi piace il montaggio. Sono i libri che ho letto, gli autori che ho incontrato Le passioni che hanno determinato svolte e cambiamenti. Ci sono immagini che mi hanno aiutato a sintetizzare visivamente un concetto.
Helmut Newton

Excess. Moda e underground negli anni ’80. © Helmut Newton, Charta Editore 2004

Penso alla mostra e anche al catalogo Excess. Moda e underground negli anni Ottanta. In quel progetto le due immagini gemelle di Helmut Newton, le Sie Kommen Dressed e Sie Kommen Naked del 1981, erano icastiche del proprio tempo: una precisa rappresentazione della forza e della perentoria, sicura baldanza che trasmettono quei corpi. Nudi senza vergogna. Vestiti senza costrizione. Una sicurezza corale, compatta e consapevole. Loro sono le donne appena uscite trionfalmente dalle dure manifestazioni femministe che, partite dalla contestazione degli anni Sessanta in America e in Europa, culminano nelle conquiste politiche e sociali degli anni Settanta.

L’attività di curatrice

Maria Luisa Frisa

Maria Luisa Frisa in un recente ritratto durante lo shooting degli abiti Memos al Museo Poldi Pezzoli di Milano


Fare una mostra è una bellissima avventura. Mi piace molto tutta la complessità del lavoro necessario per realizzarla. Tutte le esposizioni che ho curato hanno rappresentato una tappa importante del mio percorso. Mi interessano quelle che avrei voluto fare e che per ragioni diverse non sono ancora riuscita a concretizzare. Non ci sono segreti o regole per una mostra di successo. E spesso, purtroppo, le più interessanti non lo hanno. Credo che la cosa importante siano le ragioni e l’idea dietro una mostra. Italo Calvino e le sue Lezioni americane mi hanno ispirato il prossimo progetto al Museo Poldi Pezzoli di Milano (inaugura il 20 febbraio 2020). Una mostra piccola ma precisa, difficile e divagante.

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