20 Agosto 2019 di mauro Avatar

Durante una conversazione, ti butta lì frasi come “Henri mi disse che” o “Dorothea voleva che”. E sta parlando di Henri Cartier-Bresson e Dorothea Lange, che conosceva molto bene. E non è che lasci cadere i nomi per vantarsi di amicizie famose, è semplicemente un veterano che riflette sulle lezioni che ha appreso e sui geni che ha incontrato nel corso di una straordinaria carriera che non mostra segni di cedimento.
Ralph Gibson è uno dei più celebrati fotografi americani. Anche se è spesso classificato come “fotografo artistico” nelle sue squisite opere non c’è nulla di oscuro o elitario. Ralph si concentra su frammenti e dettagli e questo processo ruota più sulla percezione che sulla narrazione di una grande storia, una personalità o un evento. Potremmo considerarlo un “dio delle piccole cose”, ma uno che approccia queste piccole cose con estrema serietà, alimentata dalla passione di una vita per la filosofia, la storia dell’arte e la critica artistica. Solo di recente convertito alle versioni digitali delle sue amate fotocamere Leica, Ralph ripercorre per noi il suo lungo viaggio creativo parlandoci dallo studio in cui lavora a New York.
“Quando mi arruolai in marina, a diciassette anni, nel 1956, fui sottoposto a una batteria di test, che superai molto bene. Mi inviarono alla scuola di fotografia, ma inizialmente venni respinto. L’ufficiale incaricato accettò di riprendermi, a condizione che pulissi le latrine per sei settimane. Erano le latrine di seicento ragazzi. La scuola era dura, ma era la prima volta che decidevo di fare qualcosa, di essere qualcosa. Mi ricordo che una notte, nel mezzo di un temporale, mi misi a urlare che sarei diventato un fotografo!”

Ralph Gibson: con Dorothea Lange e Robert Frank

Dopo il congedo dalla marina, Ralph tornò nella natia Los Angeles, per poi trasferirsi di nuovo
per studiare al San Francisco Art Institute. “Un amico mi aveva invitato a un ballo in maschera lì al college. Dopo la festa decisi di iscrivermi”, riassume. “Ora, tenete presente che era il 1960, era l’epoca d’oro della fotografia documentaristica: la rivista LIFE, The Americans di Robert Frank e così via.
Tolti Ansel Adams ed Edward Weston, la fotografia sociale era considerata la forma più elevata dell’arte.
Io ero abbastanza sicuro dal punto di vista tecnico, così quando Dorothea Lange contattò il mio tutor chiedendo un assistente di talento, le fui raccomandato io.
La Farm Security Administration, per cui Dorothea aveva lavorato negli anni della Depressione, aveva trattato piuttosto male i suoi negativi, così ebbi l’opportunità di lavorare sulle sue famosissime immagini. Un giorno chiesi a Dorothea qualche notizia su una particolare immagine di una donna con profonde occhiaie nere, in piedi contro un muro. Mi raccontò che si trattava di una ragazza con un ritardo mentale, presa in giro e abusata, e mentre me ne parlava i suoi occhi si riempirono di lacrime. Compresi in quel momento come la fotografia avesse ancora un notevole impatto emotivo su di lei, anche dopo così tanti anni”. Nel 1967 Ralph conobbe il secondo grande fotografo di cui sarebbe stato assistente, Robert Frank. “Incontrai Frank all’apice della carriera e mi invitò ad aiutarlo con i suoi negativi. Frank e Dorothea Lange mi insegnarono una lezione importantissima: fare qualunque sforzo per essere unico e non copiare.
Certo, ho le mie influenze, come tutti i fotografi, ma non le si vede nei miei lavori. In realtà, ho molte,
molte influenze – pittura, architettura, teoria della critica, filosofia, Schoenberg e la lista potrebbe continuare.
Ma la mia posizione è valida solo nei termini del mio impegno personale, del mio studio costante, della mia ‘formation perpetuelle’ come direbbero i francesi. Sto ancora soprattutto imparando”.
“La domanda più importante per me è: posso continuare a crescere? È facile finire incasellati e sono ben conscio della ‘maledizione delle prime opere’. Non sei niente senza tutto il corpo di lavori che ti hanno portato all’attenzione. Le persone assoceranno sempre Robert Frank a The Americans, o Dorothea Lange ai suoi scatti della Depressione”.

Ralph Gibson: trovare il proprio percorso

Sarebbe comprensibile se l’influenza di Lange e Frank avessero spinto Ralph a diventare a sua volta un fotografo documentario, ma lui ha scelto una strada diversa. “Dorothea usava lo strumento della fotografia per mostrare la vita dei lavoratori migranti. Aveva un messaggio molto chiaro. Anche Frank sapeva molto bene cosa voleva dire degli Stati Uniti ai tempi di The Americans. Io decisi che volevo usare la fotografia per ‘monumentalizzare’ le forme e i frammenti meno significativi.
Ero più interessato al modo in cui la mia percezione diventava soggetto delle mie fotografie. Di conseguenza i soggetti non sono mai stati un problema per me, trovo ispirazione ovunque.
Non ho mai dovuto attendere un grande evento prima di scattare una fotografia”. Ralph è imperturbabile anche nei confronti della risposta critica ricevuta dai suoi molti libri e mostre. “Ho pubblicato una quarantina di libri e, per quanto sia molto grato per la risposta delle persone, io scatto queste foto per me”.
Prendere Confidenza con il digitale
L’esplorazione di come percepisce il soggetto e del modo in cui gli osservatori potranno mettere a confronto la loro percezione con la sua, è il tema costante della carriera di Ralph. È riluttante a parlare di immagini preferite: “Sono più interessato a come un’immagine possa annunciare e avviare un successivo progetto e, comunque, la fotografia preferita è sempre la prossima”, ma ammette un certo affetto per il suo ritratto di un prete. A prima vista sembra un semplice ritratto tagliato, ma un esame più attento rivela la struttura rigida e geometrica, fondata sulle diagonali, tipica delle immagini di Ralph.
“Sono molto legato anche a un’immagine molto più recente di una bicicletta accanto alla botola
di un tombino. Mi ricordo che l’ho scattata dopo aver ricevuto la digitale Leica M Monochrom.
Avevo giusto appena parlato con il mio analista e avevo detto che proprio non riuscivo a lavorare con le fotocamere digitali, ma questa immagine mi ha riempito di orgoglio, entusiasmo e speranza. È forte quanto qualsiasi altra abbia mai realizzato”.
Ralph è tuttora affascinato dalla fotografia in bianco e nero e dal modo in cui crea quella che lui definisce ‘un’astrazione della realtà’: “In bianco e nero interagisci in realtà con tre elementi: il bianco, il nero e l’assenza del colore”. Nel 2007, Ralph ha dichiarato che doveva ancora vedere un capolavoro prodotto da una fotocamera digitale.
Cosa pensa della tecnologia oggi? “Le fotocamere digitali di oggi sono molto diverse da quelle del 2007”, osserva. “Oggi la fotografia è ovunque. Negli anni ‘20, László Moholy-Nagy scrisse che l’illetterato del futuro sarebbe stata la persona ignorante nell’uso della fotocamera oltre che della penna.
Nel terzo Millennio non c’è nessuno che non sappia come scattare una foto! Ottengo ottimi risultati con Leica o Canon. A pellicola o in digitale, io sono sempre in cerca della verità fotografica e dei modi in cui l’atto percettivo in sé diventa soggetto stesso della fotografia”.
 
 

Lascia un commento

qui