IL FOTOGRAFO n. 334 si interroga sulla relazione tra Fotografia e Tempo. L’editoriale di Claudio Composti.

26 Febbraio 2022 di Redazione Redazione

È in edicola IL FOTOGRAFO 334, La storia mentre accade, un numero che si interroga sulla relazione tra Fotografia e Tempo.

E sono le immagini di Erik Kessels, Giuseppe Loy, Kurt Ammann, Letizia Le Fur, Marco Bonomo, Thomas Jorion, Giuseppe Iannello, Hayahisa Tomiyasu, Lee Shulman, Livio Senigalliesi e Nicholas Nixon, raccontati e intervistati dai nostri autori, a proporci una riflessione su concetti quali la memoria, i volti, i luoghi, le epoche.

IL FOTOGRAFO 334: l’editoriale di Claudio Composti

A firmare l’editoriale di questo nuovo numero è Claudio Composti, curatore indipendente e Art Advisor di collezioni private. Ve lo proponiamo qui…

foto più famose
Parigi, Boulevard du temple, 1838 © Louis-Jacques-Mandé Daguerre / Wikimedia Commons. Uno dei primi dagherrotipi della storia. Il ritratto involontario di un uomo fermo dal lustrascarpe cattura l’attenzione. Solo lui è rimasto impresso sulla lastra, tutta l’animazione della strada è svanita: era troppo rapida per essere fermata in 10 minuti di posa.

Tempo fa, lessi del timore di alcuni indigeni di perdere l’anima attraverso una fotografia. Questo non tanto per uno strappo effettivo, quanto per la credenza nella creazione, attraverso quell’immagine riprodotta, di un altro da sé indipendente. Un alter ego che avrebbe avuto a quel punto vita propria, in una sorta di tempo parallelo, che avrebbe potuto creare problemi poiché fuori controllo.

In fondo, questo è la fotografia: una macchina del Tempo. Nel 1839 si è aperto un nuovo concetto di spazio-tempo, le cui radici affondano ben prima di quella fatidica data ufficiale. Già gli arabi e i greci conoscevano la camera oscura. E dal 1420-30 circa, attraverso l’uso di lenti, i pittori iniziarono a dipingere ante litteram in modo fotografico.

Il tempo sospeso della fotografia

L’immagine, del resto, vive di quella autonoma e spaventevole presenza-assenza; la presenza del “morto” (R. Barthes). In un’immagine, attraverso il nostro sguardo, scorgiamo un passato che torna eterno presente.

La fotografia ci permette anche di creare un nostro tempo: un tempo della ricerca; un tempo dello scatto – «l’organo del fotografo non è l’occhio, ma il dito» come scrisse Berger –; un tempo della stampa in camera oscura, in cui prende forma la magia dello sviluppo; un tempo dello sguardo. Un tempo oltre la morte.

Ogni immagine diventa così non solo “traccia del mondo” (Susan Sontag), ma della nostra vita. E specchio per chiunque di noi si ritrovi o si riconosca in volti, abitudini, atteggiamenti che riconosciamo come nostri attraverso la vita degli altri, benché appartenuti ad altre epoche.

Scoprendo che la fotografia, o meglio, l’immagine, si fonda, gioca e travalica il concetto di Tempo stesso, per sopravvivergli e arrivare intatta a noi come medium di un viaggio temporale appunto. Un’immagine ferma la vita che scorre. Si fa indagine, anela alla bellezza eterna, si fa testimone dell’adolescenza e memoria del vivere. E del morire. Abita lo spazio. E un tempo sospeso, perché eterno.

IL FOTOGRAFO è disponibile anche online e in abbonamento a questo link

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