Attilio Lauria, partendo dal libro di Jonas Bendiksen, si interroga sul rapporto tra fotografia, post-verità e intelligenza artificiale.

24 Aprile 2023 di Redazione Redazione

È di pochi giorni fa la notizia che una fotografia creata con l’intelligenza artificiale si è aggiudicata un premio in uno dei più importanti concorsi di fotogiornalismo al mondo. Si tratta di The Electrician di Boris Eldagsen, premiata nella categoria Creatività del concorso Open dei Sony World Photography Awards. Il fotografo tedesco ha poi platealmente rifiutato il riconoscimento, dichiarando che l’immagine era stata creata con l’AI, e la foto è sparita dalla mostra del concorso, attualmente esposta a Londra.

Tuttavia, questo episodio aggiunge un ulteriore tassello all’inevitabile riflessione sul rapporto tra fotogiornalismo, intelligenza artificiale e post-verità. Una riflessione che Attilio Lauria propone su IL FOTOGRAFO 341, numero interamente dedicato al fotogiornalismo, partendo dal volume The Book of Veles di Jonas Bendiksen. Vi proponiamo un passaggio della sua riflessione.

Fotogiornalismo, intelligenza artificiale, post-verità

di Attilio Lauria

Il rapporto con la realtà, tema affrontato da Bendiksen in The Book of Veles, è sempre stato l’aspetto più controverso del reportage, in bilico fra falsificazione, interpretazione ed estetizzazione. La facilità con cui oggi è possibile alterare le immagini aggiunge altre ambiguità e interrogativi sull’attendibilità della rappresentazione, e la conseguente perdita di valore testimoniale della fotografia in un’epoca già dominata dall’incertezza.

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Che l’Oxford Dictionary, Crusca sociologica della contemporaneità, abbia eletto nel 2016 “post-truth” come parola dell’anno, la dice lunga sull’aria che tira nella società di inizio millennio; dalle parti della fotografia, per esempio, un tempo comunemente accreditata come sinonimo di verità, il sentiment odierno opta decisamente per l’ossimoro, soprattutto se si parla di fotogiornalismo.

Per chi si occupa di fotografia non si tratta certo di una novità, con il primo esempio di manipolazione mediatica risalente già al primo reportage di guerra della storia, quello di Roger Fenton durante la guerra di Crimea (1855). Ma se anche la consapevolezza di un’inclinazione genetica alla menzogna consiglia l’esercizio abituale del dubbio, risulta comunque difficile, se non impossibile, orientarsi oggi in quel territorio liminare fra vero, falso e verosimile.

Come nel caso del Book of Veles di Jonas Bendiksen, premio World Press Photo 2022, categoria Open Format Europa, e ultimo di una serie di lavori pedagogici nei confronti della credulità […].

Realizzato con un linguaggio autoriale riconoscibile come stile, il Book of Veles è un falso dalla raffinata costruzione progettuale articolato su diversi livelli semantici, a partire dal titolo che fa riferimento a un altro Book of Veles, raccolta di 40 tavole di legno inscritte in una lingua proto-cirillica rinvenute da un ufficiale dell’esercito russo nel 1919. Spacciata per una storia del popolo slavo e di Veles, dio del male, del caos e dell’inganno, si tratta in realtà di un falso storico ormai acclarato, i cui frammenti Bendiksen ha inserito nel testo del libro – un saggio generato dall’intelligenza artificiale utilizzando il chatbot GPT-2 –.

Quanto alle foto, Jonas Bendiksen è stato effettivamente a Veles, cittadina della Macedonia un tempo industriale e oggi in crisi economica profonda, divenuta capitale mondiale delle fake news in occasione delle presidenziali USA del 2016 – notizie che finirono per favorire la vittoria di Donald Trump –. Ma lì l’autore ha fotografato solo spazi e ambienti vuoti, a volte utilizzando una fotocamera a 360 gradi per catturare l’illuminazione in modo da poterla ricreare in seguito, inserendo poi dei soggetti generati grazie a software di elaborazione grafica 3D utilizzati nella produzione di videogiochi.

Che cosa conferisce credibilità alla fotografia?

L’autore ha così realizzato un reportage con foto falsificate in una città dove si confezionavano realmente notizie false, dandogli per titolo quello di un libro considerato un falso storico, e affidando a un testo scritto con l’intelligenza artificiale il ruolo di fonte documentale: inevitabile interrogarsi sul senso dell’operazione che lo stesso Bendiksen rivela di considerare una sorta di penetration test, di quelli che gli hacker eseguono alla ricerca di vulnerabilità nel loro codice.

In questo caso, nonostante gli indizi disseminati qua e là, ha dimostrato la fragile autorevolezza del fotogiornalismo, ingannando persino il gotha del fotogiornalismo di Perpignan, dove il Visa Pour l’Image l’aveva invitato per un talk.

Se il rapporto della fotografia con un concetto, già di per sé vago, come la verità è sempre stato problematico, il lavoro di Bendiksen lo affronta alla luce delle nuove tecnologie […]. Il che pone alcuni interrogativi cruciali sul futuro di un genere più volte dato per moribondo: accantonata la possibilità che basti a se stessa, cos’è che conferisce credibilità alla fotografia?

Continua a leggere le riflessioni di Attilio Lauria su IL FOTOGRAFO 341 in edicola o a questo link

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